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"il 49% delle imprese italiane adotta forme flessibili degli orari di lavoro"

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Messaggio  0000660780 Ven Apr 01, 2016 1:36 pm

Segnalo questo articolo molto recente, inquadra uno spaccato della nostra società venuto fuori durante il convegno "Oltre il profit" tenutosi alla camera dei deputati. Si evince intanto in ambito comparatistico, come in alcuni paesi dell'Ue le imprese siano nettamente più impegnate socialmente e verso i propri lavoratori tra tutti spiccano la Danimarca e la Filandia.  Si evince come in secondo luogo nonostante la responsabilità sociale de'impresa sia in crescita nel nostro paese, le donne comunque sembrano essere più svantaggiate, le quali spesso sono costrette a diminuire il loro orario di lavoro (con conseguente diminuzione retributiva) o addirittura doverlo abbandonare. Di seguito svariati esempi positivi italiani vengono illustrati nella speranza che questi facciano da capo fila e soprattutto da traino per il futuro.


Fonte articolo: "Vita" rivista online/megazine (allegherò presto il link)

"In Francia sono il 51%, il 55% in Spagna, il 58% in Germania, il 70% in Danimarca e Regno Unito, l'83% in Finlandia. È il dato che emerge dal convegno "Oltre il profit” su imprese, welfare e responsabilità sociale.

In Italia la spesa pubblica per la protezione sociale è pari al 30,7% del Pil, un valore lievemente superore alla media dell'Ue: la sua distribuzione è concentrata fortemente su vecchiaia e superstiti (il 14,5% più alta rispetto alla media dell'Ue), mentre altre voci di spesa sono fra le più basse: famiglia, maternità e disoccupazione. Chi ha un lavoro possiede certamente un reddito per cercare di far fronte ai bisogni sociali e alle spese sanitarie, ma conciliare la vita lavorativa con quella familiare è sempre più complicato. Si stanno però facendo strada nel nostro Paese nuove forme di welfare legate alla dimensione di impresa che legano soggetti economicamente diversi, ma uniti dalla possibilità di generare benessere per i lavoratori e le loro comunità, con attenzione alle persone che vivono situazioni di disagio.

Questo filo che unisce multinazionali di successo, grandi gruppi bancari, solide aziende manifatturiere, imprese sociali e onlus è stato al centro del convegno "Oltre il profit" nella Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati.

Oltreilprofit1
«Abbiamo messo insieme modelli di impresa vincenti -racconta Edoardo Patriarca, presidente del Centro Nazionale per il Volontariato che ha promosso l'iniziativa insieme ad Aggiornamenti Sociali e Valore D- che, oltre ad assicurare occupazione e generare reddito, producono anche benessere per i lavoratori, le famiglie e i territori. La forma più recente di questo tipo di approccio sono le società benefit, istituite con la Legge di Stabilità, ma parliamo anche di pratiche più assodate come il volontariato di impresa, la responsabilità sociale di impresa e il welfare aziendale. Dimensioni che si intrecciano a cui dobbiamo guardare con attenzione e che devono essere tutelate e valorizzate».

Le forme del welfare aziendale sono molte: dagli strumenti di conciliazione lavoro-famiglia al sostegno per le lavoratrici in maternità, dall'assicurazione medica integrativa finanziata dall'azienda ai molti servizi time-saving per una migliore qualità della vita dei lavoratori. In Italia si stanno diffondendo, ma sono ancora indietro: secondo una recente indagine del Censis, solo il 49% delle nostre imprese adotta forme flessibili degli orari di lavoro, a fronte del 51% in Francia, il 55% in Spagna, il 58% in Germania, il 70% in Danimarca e Regno Unito, l'83% in Finlandia. Così, soprattutto le donne sono spesso costrette a diminuire o addirittura abbandonare il lavoro per prendersi cura dei figli. Secondo il Censis sono quasi 450.000 le famiglie in cui uno dei componenti, quasi sempre una donna, ha dovuto ridurre il proprio orario di lavoro per prendersi cura dei figli e 350.000 persone hanno rinunciato, per lo stesso motivo, a cercare lavoro.

Oltreilprofit2
«Per questo -prosegue Patriarca- abbiamo riunito in un convegno, inedito per le sale parlamentari, tanti imprenditori oltre che qualificati esperti, per dire al nostro Paese che i modelli vincenti ci sono, basta avere il coraggio di percorrerli e la lungimiranza di facilitarli».

Tante le storie aziendali positive che sono state raccontate nel corso del convegno. "Picture of Life" di Manfrotto è un progetto che dà riscatto, attraverso la fotografia, a persone vittime di disagio o esclusione; l'associazione Pianoterra nasce a Napoli nel 2008, sostiene le famiglie più vulnerabili intervenendo su madri e bambine per spezzare la catena generazionale del disagio; la Clinica Mediterranea Spa -180 posti letto, 400 lavoratori- con Mondo Donna offre un luogo di incontro con esperti e associazioni per coinvolgere cittadini e pazienti nella salute; “Francesco e Chiara” è un'impresa sociale che in provincia di Modena svolge servizi di assistenza per non autosufficienti, è nata dall’incontro tra un frate e l’Ordine Francescano, che disponeva di un immobile in disuso e un gruppo di professionisti; Chimar è un'azienda con 22 stabilimenti un fatturato che supera i 40 milioni di euro, da anni si impegna per dare la migliore qualità della vita e del lavoro ai propri collaboratori sviluppando, all’interno dell’azienda, un progetto per la qualità della vita dei lavoratori; il Banco Popolare dedica attenzione ai propri 17.500 dipendenti, mediante politiche di formazione, di welfare e di assistenza sanitaria integrativa di elevata qualità, sperimentando su alcuni territori il modello di “Smart Working”.

Le storie
Manfrotto e la fotografia che riscatta | Fondata nel 1972, Manfrotto è leader mondiale nella progettazione, produzione e distribuzione di una vasta gamma di accessori professionali per i mercati della fotografia, del video e dell'intrattenimento. Con due poli industriali attivi, uno a Feltre (BL) e uno ad Ashby (UK), una centrale acquisti in Cina e 9 filiali commerciali in tutto il mondo, Manfrotto occupa 735 dipendenti di cui 529 in Italia, esportando circa il 95% della produzione. Principale fattore di questo successo sono le persone Manfrotto, che rappresentano la risorsa più preziosa dell’azienda. Da qui il desiderio di orientare le attività di CSR alla promozione di una sinergia tra le competenze distintive dell’azienda e i bisogni sociali, attraverso progetti capaci di creare valore sul territorio. Ne è un esempio Picture of Life, progetto incentrato sulla possibilità di riscatto, attraverso la fotografia, di persone che hanno vissuto e vivono situazioni di disagio e di esclusione sociale, quale primo passo concreto di reinserimento nella società.

Pianoterra Onlus: spezzare la catena del disagio | L’Associazione Pianoterra Onlus nasce a Napoli nel 2008 con l’obiettivo di sostenere le famiglie più vulnerabili, intervenendo sulla diade madre-bambino per evitare che il disagio si trasmetta di generazione in generazione. Stabilisce con le famiglie una relazione di sostegno e accompagnamento finalizzata al recupero della dignità e della fiducia nelle proprie risorse. Gli interventi sono ideati e attuati da un’équipe multidisciplinare e attivano attorno alle famiglie una rete solidale composta da diversi partner, una comunità in grado di prendersi cura delle persone in difficoltà. Nel 2013 nasce a Roma la Fondazione Pianoterra, per intervenire a favore di adolescenti e giovani in contesti di marginalità utilizzando l’arte e la creatività come strumenti di affermazione ed emancipazione.

Clinica mediterranea e la salute partecipativa | La Mediterranea è una struttura ospedaliera accreditata SSN che ospita attività ad elevata specializzazione con 180 posti letto ed oltre 400 lavoratori. La salute è un diritto equo ed uguale per tutti, ma è proprio così se non siamo in grado di scegliere correttamente stile di vita o non sappiamo accedere alle cure? Siamo liberi di prenderci cura di noi e dei nostri figli e siamo veramente liberi di scegliere se non abbiamo le giuste conoscenze per operare scelte consapevoli? Per rispondere a queste domande da 4 anni Mondo Donna offre un luogo di incontro con esperti di settore ed associazioni che affrontano sul territorio tematiche di salute. L’obiettivo è accrescere le competenze necessarie affinché i cittadini, i pazienti e i professionisti siano attivamente coinvolti - come singoli, come organizzazione e come comunità - nelle decisioni che riguardano la propria salute al fine di migliorare il proprio ambiente sociale e politico.

L'impresa sociale Francesco e Chiara: l'assistenza che funziona | L’impresa sociale “Francesco e Chiara” svolge servizi di assistenza residenziale e semi-residenziale per anziani autosufficienti e non e affetti da grave demenza. L’idea è nata dall’incontro tra un frate e l’Ordine Francescano, che disponeva di un immobile in disuso, e un gruppo di cittadini e professionisti che assieme a loro costituirono nel 1994 un'associazione e sottoscrissero una Convenzione per realizzare l’opera. Completati i lavori l’Associazione costituì la “Francesco e Chiara” Srl (col 99,5% delle quote), quale braccio operativo per la gestione della struttura sulle basi solidaristiche dell’associazione stessa. Dopo 5 anni di attività la struttura fu raddoppiata, prevedendo servizi innovativi quali una palazzina con alloggi indipendenti ad essa collegata. Attualmente il Centro Servizi ospita 120 anziani ed occupa 75 operatori. I finanziamenti sono interamente privati, provenienti da benefattori, aziende e anziani fruitori dei servizi, ai quali vanno aggiunti professionisti che forniscono prestazioni gratuite. Fra gli aspetti peculiari vi è la piena sintonia tra i frati e il gruppo dirigente, e la successiva adesione al progetto delle migliori figure professionali del settore assistenziale, esistenti in zona.

Chimar la responsabilità degli imballaggi | Chimar nasce a Gennaio 2000 come azienda produttrice di imballaggi. La qualità come soddisfazione del cliente e lo sviluppo sostenibile ambientale sono ritenuti da sempre elementi sostanziali che accompagnano la crescita. La riorganizzazione del lavoro secondo la logica “snella” con l’obiettivo di rendere più funzionale il processo produttivo e quindi essere più competitiva sul mercato. Chimar ottiene il primo premio per la Responsabilità Sociale dell’Impresa, frutto dell’impegno ad utilizzare solo legno che proviene da foreste gestite in maniera responsabile. Nonostante gli anni difficili, Chimar ha sempre garantito ai sui dipendenti il posto di lavoro senza mai ricorrere alla cassa integrazione o a riduzioni di orario. La crescita della società è ottenuta ampliando la propria offerta di nuovi servizi completi complessi ad alto valore aggiunto come la logistica integrata e i servizi logistici. Chimar è indipendente da un punto di vista energetico, utilizza gli sfridi per produrre energia termica ed energia elettrica con un proprio impianto di coogenerazione. Oggi Chimar è presente con 22 stabilimenti un fatturato che supera i 40 milioni di euro e occupa 420 persone, si colloca fra le prime aziende del settore. Chimar da anni si impegna per dare la migliore qualità della vita e del lavoro ai propri collaboratori, sviluppando all’interno dell’azienda un progetto che mette al centro le persone e tecnologie sempre più efficaci e funzionali all’ergonomia del lavoro e alla qualità dei luoghi dove le persone lavorano. Qualità della vita e del lavoro, infatti non possono essere disgiunte. E con qualità della vita non si intende solo quella di chi opera in azienda, ma anche quella derivante dai servizi e dalle opportunità offerte alle famiglie dei dipendenti.

Il Banco Popolare e la cura dei dipendenti | Il Banco Popolare si posiziona oggi tra i primi 5 Gruppi Bancari Italiani ed è presente sul territorio nazionale con circa 1.800 filiali che mostrano le insegne di alcuni prestigiosi marchi. Al proprio interno, il Banco Popolare dedica particolare attenzione ai propri 17.500 dipendenti, mediante politiche di formazione, di welfare e di assistenza sanitaria integrativa di elevata qualità. Sta sperimentando su alcuni territori il modello di “Smart Working” ed ha allo studio progetti di Volontariato d’Impresa. Nei confronti dei propri circa 2,3 milioni di clienti e dei circa 200.000 Soci, il Banco Popolare dedica particolare attenzione ai territori di insediamento, alle comunità, alle piccole e medie imprese, alle famiglie ed alle varie componenti dell’economia civile. In particolare nei confronti delle varie componenti del Terzo Settore, il Banco Popolare ha istituito una struttura centrale, denominata “Terzo Settore”, che ha come mission lo sviluppo di relazioni con il mondo associativo del volontariato e con quello della cooperazione sociale, lo studio e la distribuzione di prodotti e servizi concepiti specificamente, mediante una linea dedicata il cui nome è “Incontro”, per le organizzazioni del Terzo Settore."

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"il 49% delle imprese italiane adotta forme flessibili degli orari di lavoro" Empty E se il lavoro non fosse calcolato in ore passate in ufficio ma in risultati?

Messaggio  0000725652 Sab Apr 02, 2016 3:13 pm

Da Lerry Page  (google) a Netflix (usa) fino a Richard Branson (Virgin) dicono no al lavoro classico. Basta orario di lavoro, scrivania o ufficio: quello che conta non è il risultato non le ore che passano.
Per essere felici bisogna lavorare meno; esser più felici fa lavorare meglio. Da qui parte la concezione  un po stravagante di Brandson, applicata nelle sedi in  UK e in USA, che vede nello status saltuario psico-fisico dei propri dipendenti - tema certamente caro alla RSI - un forte discriminante per la qualità del lavoro e del prodotto; insomma sono ininfluenti quante ore passi in ufficio l’importante che alla fine il progetto assegnato sia eseguito al meglio.
Secondo li stesso  Branson questo tipo di lavoro che permette una vita personale più felice: possibilità di autorganizzazione famigliare, personale e coltivare nuovi interessi che possono  certamente essere da stimolo per la qualità del lavoro che -commenta lui- esser migliore.
Quello detto da Branson ritrova un piccolo riscontro anche una pratica simile usata da un comune svedese.A Göteborg si è deciso di trattenere per meno tempo in ufficio i dipendenti, riducendo l’orario lavorativo dalle otto ore canoniche a sei (per un totale di 30 ore settimanali). Obiettivo: ridurre i giorni di assenza dal lavoro per malattia. 
Un concetto simile a quello citato qui sopra è quello applicato da google circa la politica aziendale sui permessi ferie:
“i dipendenti dovranno decidere di andare in vacanza solo quando capiranno che la loro assenza non danneggerà le entrate dell’azienda, un altro collega o la loro stessa carriera“. In questo modo gli stessi lavoratori sono chiamati a una corresponsabilità che permette loro una possibilità  di organizzazione del proprio orario lavorativo ed extra lavorativo, ma allo stesso tempo  sentendosi  parte del risultato della stessa azienda.

Senza dubbio una maggiore libertà e possibilità di autorealizzazione dei propri bisogni - considerando la piramide dei bisogni  di Maslow -porta risvolti positivi nel lavoro svolto che comporta un clima sereno dove ci si può esprimere al meglio.

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"il 49% delle imprese italiane adotta forme flessibili degli orari di lavoro" Empty Smart Working

Messaggio  0000724171 Sab Apr 02, 2016 4:55 pm

Sempre più aziende sembrano affidarsi a piani di "smart working", il cosi detto lavoro agile.
Anche grazie alle nuove tecnologie che ogni giorno aprono un universo di opportunità, sembra finito l'incubo del cartellino e l'obbligo di andare ogni giorno a lavoro in ditta. Marchi come Unicredit. BNL, Barilla, Vodafone, Star danno ai loro dipendenti la possibilità di operare qualche giorno al mese in remoto, da casa o dalla sede più vicina al loro domicilio, riorganizzando i loro orari e le loro postazioni con un obiettivo chiaro: regalare ai dipendenti un equilibrio maggiore tra vita professionale e vita privata, ottenendo in cambio risparmi sui costi, più fedeltà aziendale e maggiore produttività, riducendo anche i tempi per gli spostamenti con un risparmio di tempo e denaro.
Il processo naturalmente non è semplice. Serve un cambio di mentalità, un'adeguata formazione per i manager, ma i risultati sono straordinari.
Se dai fiducia alla gente ti viene restituita, la produttività aumenta e nessuno usa questa possibilità come un giorno di ferie mascherato.
Quindi è chiaro che la delega alle persone della gestione del loro tempo non crea problemi. Anzi.
"La Star" per esempio ha creato gli "uffici del futuro": solo ambienti open space, scrivanie non assegnate e un armadietto personale, senza differenziazione gerarchica. Cosi facendo si riducono i metri quadri individuali a disposizione, ma si aumentano gli ambienti collettivi (sale riunioni, confidential room). Come organizzazione del lavoro è scomparsa la timbratura obbligatoria in favore di fasce flessibili per ingresso e uscita e autocertificazione per le assenze.
"Leroy Merlin", invece, lascia la timbratura obbligatoria, ma affida ai dipendenti 40 ore settimanali da gestire in autonomia tra le 7 e le 21, su 5 o 6 giorni la settimana.
"Unicredit" oltre alla riorganizzazione degli spazi e alla smart working, da la possibilità a mamme e papà di portare i loro figli a lavoro in periodo di chiusura scolastica.
"All'inizio c'è un pò di difficolta - spiega Paolo Gencarelli, responsabile Unicredit - perchè cambiare abitudini non è facile, ma poi, superato il rodaggio, nessuno vuole più tornare indietro. I manager devono cambiare mentalità, si lavora per obiettivi e non per controllare chi sta fino a tardi al suo posto. Il risultato è che si moltiplica in modo esponenziale la capacità di lavorare in team."
Questi sono tutti esempi di come l'adozione di politiche di CSR sia perfettamente collegata agli obiettivi strategici di aumento della produttività, di come l'attenzione verso i luoghi di lavoro e verso tutte le esigenze dei propri dipendenti vada a vantaggio dei lavoratori e dell'impresa stessa.

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"il 49% delle imprese italiane adotta forme flessibili degli orari di lavoro" Empty Carriera o tempo libero?

Messaggio  0000724171 Dom Apr 03, 2016 12:54 pm

Vi segnalo questo articolo interessante del Corriere della Sera:

Il benefit? Più tempo libero
I lavoratori (soprattutto i giovani) lo preferiscono agli scatti economici e molte aziende hanno capito che così si attirano i dipendenti migliori

«Non accetterei di limitare la gestione del mio tempo personale e professionale neppure in cambio di uno stipendio più alto». Claudio Rinaldi, 35 anni, è il direttore digital marketing di Microsoft Italia: sovrintende alla comunicazione con gli utenti della società attraverso 100 mila pagine online e dodici profili sui social media. Un lavoro di responsabilità di solito associato alla carriera prima di tutto. «Io invece sto in un’azienda che non mi costringe a scegliere tra la realizzazione professionale e gli interessi personali» dice. Rinaldi fa parte di quella «nuova» generazione di lavoratori che pur investendo molto sul lavoro, ai tradizionali benefit carrieristici preferiscono una migliore conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.
Addio cartellino
«Dirigo un coro gospel — spiega Rinaldi —. Mercoledì sera, per esempio, grazie alle nostre forme di “lavoro agile” e alla tecnologia, ho potuto continuare a seguire un evento mondiale della comunicazione Microsoft mentre andavo da Milano a Como per le prove. Non cambierei mai per un posto che funziona su orari classici, neppure se le condizioni economiche fossero migliori», aggiunge.
In Microsoft Italia c’è un’assoluta flessibilità di orario: non si timbra il cartellino e compatibilmente con il lavoro in team, il raggiungimento degli obiettivi e la gestione del calendario condiviso, si possono spostare gli orari come si preferisce. Lavora con questa modalità oltre la metà dei dipendenti tutti i giorni (il 57 per cento).
Il lavoro «agile»
Le aziende sanno che il rispetto dei tempi di vita è sempre più importante anche per i lavoratori qualificati e ora lo usano per attirare i dipendenti migliori. «Lo vediamo con i giovani che assumiamo: hanno un’attenzione al benessere aziendale molto diversa dall’atteggiamento rampante che c’era negli anni Ottanta — conferma Elena Bonanni, direttrice delle risorse umane per il Sud Europa di GE Oil & Gas, un’azienda petrolifera da 5.600 dipendenti —. Durante le selezioni, oltre alla retribuzione, ci chiedono spesso che cosa offriamo per la cosiddetta conciliazione». Tra le leve più diffuse c’è appunto quella del cosiddetto «lavoro agile»: in GE Oil & Gas significa tra le altre cose flessibilità di due ore sull’orario di entrata o uscita, la possibilità di chiedere il part-time verticale o orizzontale per i dipendenti (uomini e donne) che hanno figli fino ai tre anni di età o familiari malati, anche integrando il resto dell’orario con il telelavoro in modo da non perdere retribuzione, e poi il cosiddetto «lavoro remoto»: chiunque, qualsiasi incarico ricopra, in caso di emergenza può richiedere di lavorare occasionalmente da fuori dopo essersi accordato con il suo diretto responsabile.
In Vodafone Italia, che sullo «smart working» ha puntato molto, si registrano 5.000 giornate di lavoro agile al mese che coinvolgono 3.500 dipendenti. Un’azienda come Ibm Italia, inoltre, offre la possibilità di prendere periodi sabbatici per seguire interessi o progetti personali.
La manager part-time
Tra i nuovi benefit ci sono poi quelli che riguardano la cura della famiglia: Ikea estende l’aspettativa per la nascita di un figlio di oltre un anno rispetto a quella prevista per legge e con il nuovo integrativo ha introdotto dei giorni di permesso per i nonni a cui nascono nipotini. Inoltre tutti i dipendenti possono scegliere i turni sui quali lavorare e c’è la possibilità di optare per il part time anche nei ruoli manageriali. Lo hanno fatto, per la prima volta in Italia, Cristina Perico e Chiara Nalin che si dividono in «job sharing» la direzione del punto vendita di Padova e di quattrocento dipendenti. «Io prima ero responsabile vendite per l’Italia, Chiara responsabile marketing, entrambe abbiamo sempre lavorato a tempo pieno — racconta Perico, 51 anni —. Si è liberato il posto di Padova, una bella opportunità. Ma io vivevo a Milano, ho tre figli di 20, 15 e 9 anni che cresco da sola, avevano già cambiato città per seguire il mio lavoro e non volevo costringerli a farlo ancora. Ci siamo guardate in faccia con Chiara e abbiamo detto: “perché non lo facciamo insieme?”». Ora Perico lavora tre giorni alla settimana a Padova, gli altri li passa Milano con i figli, e ha uno stipendio manageriale calcolato sul part-time. «Ho potuto conciliare il fatto di stare più con loro e di continuare a fare un lavoro interessante: è la fortuna di lavorare in un’azienda che te lo permette. Uno dei motivi per cui dopo 19 anni in Ikea sono ancora qui».

Forse si è finalmente capito che non è più accettabile mettere i lavoratori in condizione di scegliere tra il desiderio di fare carriera, di realizzarsi, di spendersi per l'azienda e la voglia di mettere su famiglia, di dedicarsi ai figli, di avere una vita "normale", con ritmi e orari umani, senza essere schiavi del lavoro, impossibilitati ad avere relazioni sociali e amorose. Tutto questo a vantaggio dei dipendendi, della società, cioè dell'azienda stessa.

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"il 49% delle imprese italiane adotta forme flessibili degli orari di lavoro" Empty diritto all'irreperibilità

Messaggio  /0000723545 Dom Apr 03, 2016 4:09 pm

L’introduzione delle nuove tecnologie ha rivoluzionato il modo di lavorare. In particolare il ricorso alle e-mail ha fatto sì che i dipendenti delle aziende siano sempre più spinti a portarsi il lavoro fuori dall'ufficio, lavoro che però non viene retribuito. A proposito l’articolo della Stampa del 19 febbraio 2014 riporta: “La Bmw ha deciso che gli impiegati possano stabilire con i propri capi le ore di reperibilità extra ufficio e, soprattutto, che quei preziosi minuti sottratti al tempo libero debbano essere considerati straordinari, da recuperare nel corso della settimana lavorativa. […] Una regola che è stata negoziata dal capo del Consiglio dei dipendenti, Manfred Schoch con il top management, che in questo modo vuole evitare stress da super lavoro, soprattutto rendere più attraente l’azienda per personale specializzato. Per Schoch si è trattato di ottenere «un diritto all’irreperibilità» per i dipendenti dell’azienda. In Germania […] sono ormai numerose le grandi aziende che hanno messo un freno al lavoro extra. Dalla fine del 2011, Volkswagen spegne i server mezz'ora dopo la fine dei turni e li riaccende trenta minuti prima dell’inizio”.
Viene da chiedersi se questa soluzione si armonizzi con le tesi sulla flessibilità dell’orario di lavoro e col fatto che i dipendenti possano da casa espletare in parte le loro mansioni. Credo che “il diritto alla disconnessione” e il riconoscimento adeguato delle attività lavorative extra orario rappresentino un punto essenziale per il miglioramento della qualità di vita dei lavoratori e, in ultima analisi, anche della produttività dell’impresa.


/0000723545

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