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Il lavoratore come "bene più prezioso dell'azienda": utopia o realtà?

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Messaggio  0000722797 Ven Apr 22, 2016 3:12 pm

Leggendo il libro "Lavoro e responsabilità sociale d'impresa" mi sono costruita un'idea diversa da quella di Friedman, secondo il quale l'impresa è un'entità economica e, in quanto tale, la sua funzione sociale si esaurisce e si completa nel perseguimento e nell'incremento dei profitti. Credo invece che, come si scrive nel capitolo 5, "la salute dell'azienda è resa possibile dalla sua gestione eticamente corretta e non si identifica nel profitto, che è soltanto un indicatore del buon andamento dell'azienda". Nello stesso passaggio si scrive poi: "E' possibile che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell'azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità". E', certo, assolutamente possibile che ciò accada, a ulteriore dimostrazione di come il profitto non sia l'unico indicatore del "successo" dell'azienda e assolutamente non sia un indicatore esaustivo per quanto riguarda la responsabilità sociale dell'impresa stessa. Tuttavia non sono affatto convinta che al giorno d'oggi, nella nostra società, i lavoratori dell'impresa siano davvero visti (o almeno, non nella maggior parte dei casi) come "il bene più prezioso dell'azienda". Anzi, mi sembra piuttosto che l'azienda e i suoi lavoratori, sopratutto nei casi di imprese grandi e non PMI, vengano quasi visti come due entità distinte: l'impresa deve continuare a creare profitto (infatti, indipendentemente dalle sue eventuali azioni di responsabilità sociale, il suo scopo precipuo è sempre questo) e lo può fare contando su un numero enorme non solo di lavoratori, ma anche di possibili lavoratori. Mi spiego: nella situazione attuale, con una crisi mondiale ancora in atto e un tasso di disoccupazione elevato, l'impressione che ricavo non è assolutamente quella di grandi imprese che mirino a fidelizzare i propri lavoratori, formarli, impegnarsi per il loro benessere in quanto "bene più prezioso dell'azienda". Forse questo lo si può sostenere per le PMI, dove spesso tra il datore di lavoro e i lavoratori si crea un rapporto più stretto, addirittura personale; forse lo si può dire facendo riferimento al modello di lavoro che era in auge diversi anni fa, cioè il lavoro indeterminato a tempo pieno come forma di lavoro standard. Oggi, però, con la flessibilità sempre maggiore dei rapporti di lavoro e con una precarietà dilagante, mi sembra che la visione più diffusa del lavoratore sia quella, ovviamente, di un elemento necessario all'azienda, ma perfettamente sostituibile nel mare infinito di possibilità che è il mercato del lavoro. E' forse un'opinione troppo pessimista? Che ne pensate? Credete che il lavoratore, al giorno d'oggi, sia davvero visto dai grandi imprenditori come "bene prezioso" da tutelare?

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Messaggio  0000728415 Dom Mag 08, 2016 6:55 pm

Trovo alcune considerazioni, o meglio preoccupazioni, espresse dalla collega tutt'altro che fuori luogo; tuttavia il discorso mi sembra di carattere troppo generale e vago, per nulla sostenuto da esempi concreti.
Condivido pienamente l'assunto di base per cui il lavoratore oggi è una figura estremamente differente rispetto a quella di qualche anno fa. Le recenti legislazioni nel campo del diritto del lavoro ne hanno stravolto i connotati, puntando sulla facilità e rapidità di assunzione e licenziamento (la tanto inneggiata flessibilità) come carta vincente per l'economia, ma favorendo in tal modo l'incertezza e il precariato.
Ciononostante, concordo solo in parte con il fatto che il lavoratore, dal momento che la normativa italiana e non, lo ha descritto come "perfettamente ricambiabile", non sia considerato dalla maggioranza dei datori di lavoro come bene più prezioso dell'azienda. O che sarebbe considerato tale se si trattasse di un lavoratore a tempo indeterminato.
Credo infatti che una buona politica di gestione aziendale abbia tutto l'interesse a sostituire i propri dipendenti quando necessario; impegnarsi per il loro benessere non coincide sempre con garantire loro il posto fisso. Penso a una quanto mai necessaria politica all'insegna del ricambio generazionale, di innovazione in termini di idee e di produttività che passa proprio dal ruolo chiave dei dipendenti. Sapersi innovare dal proprio interno è una risorsa vitale per un'impresa: spesso sono proprio i dipendenti ad avere le idee su come migliorare i prodotti e i servizi che l'azienda crea, ed è compito dell'impresa far emergere tutto questo potenziale.
Inoltre, è innegabile che il rapporto umano che è più facile instaurare lavorando in una PMI contribuisca a conferire valore al singolo individuo. Tuttavia vi sono innumerevoli esempi di grandi multinazionali che hanno adottato politiche interne conformi ai dettami della CSR e rispettose del ruolo fondamentale che rivestono i singoli lavoratori, nonchè consapevoli dell'importanza di instaurare un proficuo dialogo con essi, oltre che con i produttori e consumatori (stakeholders dell'impresa). Ne cito qualcuno.
Alla LEGO, per esempio, ad ogni nuovo dipendente viene portato nella prima fabbrica costruita dal fondatore Ole Kirk Christiansen e gli viene raccontata tutta la storia della società: come è nata, quali sono le sfide che ha dovuto affrontare e quali dovrà affrontare nel futuro. La narrazione della storia dell'azienda è una risorsa importante per creare un contesto in cui i dipendenti desiderino lavorare e di cui si sentano parte integrante. Una volta capito il perché di un'azienda, sarà più facile per il neo assunto capire come aiutare a farla evolvere.
La Toyota già nel 1951 introdusse il sistema "Good Thinking, Good Products" per incentivare la produzione di idee creative dei propri dipendenti; furono presentate oltre 40 milioni di idee, con tassi di realizzazione che per un periodo sfioravano il 100%.
Ed infine Whirpool: l'azienda produttrice di elettrodomestici ha fatto dell'innovazione il nucleo centrale del lavoro individuale, creando appositi laboratori per sviluppare intuizioni tra colleghi da adottare sul mercato. Approccio che le è valso un incremento delle vendite, coniugando così strategia del profitto a valorizzazione del singolo: un felice esempio di CSR "filantropica".

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Messaggio  0000722797 Dom Mag 08, 2016 7:59 pm

Specifico che il mio discorso voleva appositamente essere generale (ma non "vago"), per sollecitare la presentazione di esempi diversi. Sono, inoltre, d'accordo con l'idea che una gestione aziendale positiva tenga conto anche della possibilità di sostituire i dipendenti quando ciò sia necessario o dia la possibilità di portare novità e miglioramenti in azienda: il posto fisso non coincide assolutamente con tutele assolute per il lavoratore, né con una considerazione dello stesso come "bene più prezioso" all'interno della realtà aziendale.
Ho comunque letto con molto piacere gli esempi presentati, cioè le esperienze di aziende molto diffuse e con un fatturato alto, che sono in grado di conciliare questo modo di essere con una profonda attenzione ai propri lavoratori, i "mattoni" che le compongono. Ma il mio pensiero va, per esempio, ad Apple: azienda mondiale che nel proprio sito dichiara di volere che "i dipendenti siano soddisfatti del proprio ruolo e del lavoro che svolgono nei nostri stabilimenti" ma anche di aiutarli "a esplorare nuove opportunità". Per questo, si scrive, sono stati ideati programmi di formazione cui i dipendenti possono partecipare gratuitamente e, in collaborazione con le università locali, ottenere ulteriori titoli di studio. Questa è senz'altro un'iniziativa lodevole. Ma, se si cerca più attentamente, si trovano numerose notizie riguardanti trattamenti scorretti da parte dell'azienda verso i lavoratori: perquisizioni umilianti, orari di lavoro eccessivi, sfruttamento (ma non solo: rinvio ai relativi - e numerosi - topic). Quanto, allora, c'è di realmente sentito nelle politiche di gestione delle risorse umane che puntano a valorizzare i lavoratori? Non nascondono forse, in certi casi, una visione meno concentrata sul lavoratore e più imperniata sulla concezione contraria del profitto quale "bene più prezioso" dell'azienda?
Whirlpool, Toyota e LEGO sembrano inseguire un impegno genuino: tanto che, informandomi più a fondo, ho appreso che Toyota annunciò, lo scorso anno, di voler introdurre un sistema di remunerazione dei dipendenti legato al merito, e non all'anzianità, in seguito a valutazioni semestrali riguardanti anche la capacità di lavorare in squadra [ http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2015-01-28/toyota-rivoluziona-salario-063759.shtml?uuid=ABfNUFlC ]. Oltre a questo, il 31 luglio 2015 Fiom-Cgil firmò un accordo con la Toyota di Casalecchio (quindi, nel circondario bolognese) che riguarda i controlli a distanza per i lavoratori metalmeccanici e con il quale l'azienda assunse diversi impegni, tra i quali "non adottare verso i lavoratori alcun tipo di comportamento discriminatorio, provvedimento disciplinare, rivalsa o risarcimento": insomma, una strada "fondata sul rispetto della dignità delle persone che lavorano" [ http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/economia/2015/10-settembre-2015/jobs-act-controlli-distanza-lavoratori-disinnescati-toyota-casalecchio-2301904333675.shtml ].
LEGO, poi, ha recentemente inaugurato [ http://www.lego.com/it-it/aboutus/news-room/2014/november/legogroupinnovatesdailyworkinlondonoffice ] un nuovo ufficio londinese che spinge, attraverso la sua progettazione, i dipendenti a collaborare e lavorare in team, eliminando le barriere fisiche dei singoli uffici: un nuovo e moderno modo di lavorare, e al contempo una strategia per dare maggior valore alle idee e al "valore aggiunto" che i dipendenti possono portare all'azienda.
Questi sono senz'altro esempio molto positivi, e ce sono altri: come, ad esempio, quello di Lush, azienda di cosmetici diffusa in molti paesi, che promuove attivamente politiche di inclusione di lavoratori LGBT (ma non solo!) e si impegna per valorizzare la diversità dei dipendenti, la quale porta maggiore competitività [ http://www.prideonline.it/2015/06/22/al-via-la-nuova-campagna-di-lush-gayisok/ ]. Ma esistono casi - e non sono pochi - di aziende, soprattutto multinazionali, che ai lavoratori non guardano con la stessa attenzione. E mi sembra di capire che casi come quelli di Whirlpool, Toyota, LEGO, Lush, siano generalmente cosiderati esempi positivi ma isolati, speciali, particolari: modelli ai quali ispirarsi appunto perchè poi, nella maggior parte delle altre aziende, le cose vanno in modo diverso.

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Messaggio  0000726131 Dom Mag 08, 2016 10:05 pm

Mi trovo d’accordo con 0000722797 e con la sua visione della forza lavoro quale “bene più prezioso dell’azienda”. E’ innegabile l’apporto dei lavoratori sul risultato produttivo dell’azienda: essi mantengono l’attività dell’impresa viva e fungono come da motore della stessa. E’ dunque uno dei primi interessi del datore di lavoro assicurarsi che i dipendenti siano felici e appagati dal proprio lavoro. In questo senso, condivido l’opinione di 0000728415: “impegnarsi per il benessere del lavoratore non coincide sempre con il garantire un posto fisso”. L’odierna flessibilità del lavoro, la diffusione di contratti a termine piuttosto che a tempo indeterminato o i sempre più comuni licenziamenti collettivi sono frutto di una crisi economica globale che ha inevitabilmente colpito anche il mondo del lavoro e contro cui nulla possono buone politiche di gestione del personale dipendente.

Sono consapevole del fatto che, anche a causa della crisi dilagante, molte imprese si sono macchiate di comportamenti senza scrupolo a danno dei lavoratori. Emblematico il caso Apple, appena citato: la morte del 15enne Shi Zaokun nel dicembre 2013 a causa di una polmonite contratta dopo aver lavorato per un mese 80 ore a settimana alla Pegatron Corp, la fabbrica cinese che produce IPhone, ha fatto molto discutere riguardo i turni massacranti degli operai nelle fabbriche Apple, soprattutto dei paesi in via di sviluppo.

Dall’altra parte, però, molteplici sono anche gli esempi ammirevoli di tentativi di aziende di “fidelizzare” i propri dipendenti, con benefits e incentivi. Tra le idee più innovative (o bizzarre, che dir si voglia), al quartier generale di Netflix California i giorni di vacanza e le ore di lavoro non sono monitorati, limitandosi l’azienda a misurare soltanto le performance delle persone. O ancora, Google offre ai propri dipendenti all’interno del suo campus medici, fisioterapisti, chiropratici e massaggiatori, mentre Facebook offre alle neo mamme e papà quattro mesi di congedo retribuito, il rimborso per le spese di cura e e 4000 dollari in “cash baby” dopo la nascita.

Come per tutti gli ambiti in discussione in questo forum molto è stato già fatto ma moltissimo è ancora da fare. E’ di fondamentale importanza, però, non confondere la flessibilità del lavoro con il grado di appagamento dei lavoratori: i due piani sono diametralmente distinti e, dunque, l’uno non deve escludere l’altro, soprattutto tenendo in considerazione il valore potenzialmente (e dico potenzialmente!) positivo del lavoro flessibile non solo per il datore ma anche per il lavoratore stesso.

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