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Utopia svedese: congedo parentale contro la discriminazione femminile

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Messaggio  723910 Lun Apr 11, 2016 2:01 pm

Mentre in Italia si continua a discutere di discriminazione di genere sul lavoro c’è chi la ricetta per l’equilibrio l’ha già trovata, sto parlando dei paesi scandinavi ed in particolare Svezia.
Quando nel 2010-2011 l’Europa era alla prese con la recessione e la crisi economica la Svezia segnava una crescita compresa tra il 4 e il 6 %.
Un contributo a questo sviluppo sicuramente deriva dalle riforme che il governo svedese ha posto in essere a supporto delle donne lavoratrici.
Ne è esempio il potenziamento dell’istituto del congedo parentale, già presente in Svezia dal 1974.
La normativa prevede in sintesi: 480 giorni totali, 60 per la madre, 60 per il padre e 300 in comune; spendibili nei primi nove anni di età del figlio. Nelle prime due settimane dopo la nascita entrambi i genitori possono fruirne congiuntamente.
Una conseguenza apprezzabile di tale normativa è che i datori di lavoro svedesi non hanno più ragioni apparenti per discriminare le donne per la prospettiva di una futura gravidanza, al momento dell’assunzione.
Le statistiche riportano che i padri svedesi usano circa un quarto del congedo parentale ma i numeri continuano a salire, l’Istituto svedese di previdenza sociale Försäkringskassan riporta che dal 2014 il 90% dei padri svedesi ha fruito di almeno un giorno del congedo spettante mentre circa il 71% ha utilizzato almeno due mesi.
Inoltre dal 2008 è previsto il cosiddetto Jämställdhetsbonus, il bonus dell’uguaglianza di genere, un contributo finanziario in più per i genitori che condividono il congedo parentale equamente.
Secondo il Global Gender Gap index la Svezia è la quarta nazione dal punto di vista della qualità dei diritti del lavoro femminile, l’Italia in questa classifica si posiziona al 74° posto, inoltre in Svezia la percentuale di occupazione femminile è pari 70,3% contro il 46% italiano.
Il fatto che sempre più padri decidano di stare a casa per accudire i propri figli è un grande passo avanti per la lotta alle discriminazioni di genere inoltre alcuni studi dimostrano che la presenza equilibrata di entrambi i genitori permette ai bambini di non accusare disturbi nella crescita.

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Messaggio  0000722279 Lun Apr 11, 2016 5:06 pm

Molto spesso si tende a pensare ai congedi parentali come qualcosa di prettamente femminile, quando in realtà in base alla direttiva europea 2010/18/UE si tratta di diritti individuali esperibili da entrambi i genitori.
In Italia un allineamento alla direttiva europea citata fu la legge n.92 del 2012, che puntava ad un riequilibrio dei compiti di cura tra padre e madre introducendo un congedo di paternità facoltativo da fruirsi entro 5 mesi dalla nascita del figlio. Oggi la disciplina è regolata dal decreto legislativo n.80 del 2015 che, in linea con la direttiva europea, prevede un periodo di dieci mesi di astensione dal lavoro da ripartire tra i genitori entro i primi 12 anni di vita del figlio. Per incentivare una equa distribuzione dei compiti di cura il suddetto decreto eleva il congedo a 11 mesi complessivi se il padre decide di avvalersi dei tre mesi facoltativi di congedo di paternità, si cerca così di contrastare la prassi consolidata della madre come genitore maggiormente coinvolto nella cura dei figli. Inoltre, sempre per incentivare la fruizione del congedo da parte dei padri, il decreto legislativo ammette una forma di congedo ad ore anziché a giorni (purché le ore di assenza non superino la metà dell'orario lavorativo giornaliero), prassi che troviamo anche nell'ordinamento finlandese dove fu introdotta per lo stesso motivo.
Nonostante le ultime introduzioni legislative i padri che decidono di avvalersi del congedo di paternità rimangono una percentuale assai scarna: quali soluzioni potrebbero essere introdotte per incentivarli?

0000722279

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Messaggio  0000724648 Mer Apr 13, 2016 6:11 pm

Sul sito dell'Inps (non riesco ad inserire il link) si trovano tutte le indicazioni relative al congedo di maternità e paternità. Il solo fatto che il congedo di paternità possa essere chiesto solo nei casi in cui la madre sia impossibilitata o nel caso in cui vi rinunci secondo me è grave.
In Svezia (e in generale al nord) riescono a promuovere ed attuare scelte simili sicuramente in virtù e grazie ad una cultura politica e sociale diversissima dalla nostra, ma che in due paesi europei esistano legislazioni così diverse mi lascia interdetta.
E' davvero utopistico immaginare un'Italia in cui il ruolo della donna all'interno della famiglia non è dato per scontato? Oltre che anacronistica (le donne ricoprono sempre di più posti di lavoro una volta prerogativa esclusiva degli uomini) questa visione è offensiva e degradante.
Il caso della Svezia poi rappresenta il chiaro esempio di come siano le politiche generali, in concorrenza tra di loro, a creare uno stato davvero avanzato. Con questo tipo di scelte, il paese riesce contemporaneamente a promuovere la parità di genere, a incentivare la natalità (una risorsa per gli stati) e in generale a costruire uno stato sociale efficiente.
Io credo che il primo segnale forte debbano comunque darlo le legislazioni nazionali, a cui poi devono necessariamente fare seguito le singole aziende.

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Utopia svedese: congedo parentale contro la discriminazione femminile Empty Svezia vs Italia: davvero facciamo parte dello stesso continente?

Messaggio  0000724041 Ven Apr 15, 2016 8:49 am

I paesi scandinavi hanno dimostrato, ancora una volta, di essere un passo avanti. Proprio in merito alla questione del congedo parentale di paternità, tempo fa ho letto un articolo su “Il Fatto Quotidiano” che metteva a paragone un padre lavoratore in Italia e un padre lavoratore in Svezia e le differenze sono a dir poco abissali.
Il Testo Unico sulla maternità è molto chiaro nell’evidenziare la disparità di trattamento tra l’astensione dal lavoro della madre e l’astensione dal lavoro del padre; quest’ultima è infatti categoricamente subordinata al verificarsi di eventi che rendano impossibile, per la madre, occuparsi del bambino.
In Italia la mancanza di incentivi ad usufruire di questa opportunità è dunque imputabile, in primo luogo, ad una legislazione “arretrata” seppur di recente emanazione: sussiste ancora una netta suddivisione dei ruoli in base alla quale, in parole povere, le donne si occupano della casa e dei bambini mentre gli uomini lavorano per mantenere la famiglia.
A contribuire a questa situazione di disparità sono sicuramente le imprese, che puntano il dito contro le lavoratrici in maternità e ancor più contro i lavoratori in paternità; oserei dire addirittura che il fatto di diventare genitori non sia visto di buon occhio dalle imprese in quanto mette in crisi la stabilità e la continuità dell’attività. Ma soprattutto, a mio avviso, l’arretratezza dell’Italia in merito a suddetta questione è dovuta alla mentalità “patriarcale” che ancora permane nella nostra società.
Si tratta semplicemente di trovare un equilibrio che consenta, da un lato, la realizzazione professionale delle donne, e dall’altro, la partecipazione degli uomini alla vita famigliare e in particolare alla crescita dei loro figli.
La Svezia sembra essere riuscita nell’intento di trovare questo equilibrio: lo Stato rimborsa ai padri l’80% dello stipendio e spesso le aziende aggiungono la differenza in modo tale da coprire quasi il 100% della spettanza mensile.
Ritengo dunque necessario, innanzi tutto, un intervento legislativo che garantisca una reale parità e che consenta ai genitori di suddividere tra loro, come meglio credono, il periodo di astensione dal lavoro.
Le aziende, dal canto loro, dovrebbero rivalutare i ruoli considerando la presenza di personale femminile come un valore aggiunto e non come un ostacolo; dovrebbero agevolare il ricorso al congedo di paternità tenendo conto del fatto che stare accanto alla famiglia contribuisce alla crescita a livello personale e umano del lavoratore e ciò non può che essere positivo anche per l’azienda.
Ma ciò che potrebbe dare una svolta definitiva alla questione della maternità/paternità, a mio avviso, è un cambiamento a livello sociale: bisogna mettersi in testa che una madre che lavora non è “meno donna” di una che accudisce i figli 24 ore al giorno e che un padre che cambia i pannolini e va a fare la spesa non è “meno uomo” di uno che lavora e torna a casa solo per mangiare e dormire.

0000724041

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Messaggio  724326 Dom Mag 08, 2016 12:31 pm

Il congedo di maternità è regolamentato nei singoli Stati membri in vista della possibile revisione della Direttiva del Consiglio del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodi di allattamento (92/85/EEC).

La Direttiva, all’articolo 8, stabilisce che gli stati membri adottino le misure necessarie affinché le lavoratrici fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite con un congedo obbligatorio di almeno due settimane prima e/o dopo il parto, in conformità alle legislazioni nazionali. Quasi tutti gli stati membri garantiscono almeno 2 settimane di congedo obbligatorio prima e/o dopo la nascita del bambino. Solo la Lituania e l’Estonia non prevedono un congedo di maternità obbligatorio, mentre alcuni Stati, come l’Italia, prevedono un congedo obbligatorio superiore alle 20 settimane. La maggior parte degli Stati membri hanno optato per un congedo obbligatorio tra le 8 e le 16 settimane. Il lasso temporale indicato dalla Direttiva rappresenta, quindi, lo standard minimo.

Gli Stati membri che prevedono un congedo di maternità pari a 14 settimane prevedono un’indennità del 100% sulla base del reddito precedentemente percepito, questa percentuale scende a 1 su 8 Stati membri nel caso, ad esempio, di quegli 8 stati membri (Italia, Estonia, Portogallo, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Bulgaria) che prevedono un congedo di maternità superiore alle 20 settimane!! Errato a mio avviso!

Il divario di genere è enorme e questo è innegabile e va anche a scontrarsi con gli obiettivi della Strategia per la parità tra donne e uomini (COM (2010)). Spero che nel minor tempo possibile si tenga conto di un approccio più ampio che non si limiti alla protezione del posto di lavoro della donna in congedo di maternità, ma che preveda politiche di conciliazione che siano in grado di riequilibrare i carichi tra i genitori includendo nel disegno anche i congedi di paternità.

Con la Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 92/85/CEE del Consiglio concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (COM(2008)0637 – C6-0340/2008 – 2008/0193(COD)) si chiedeva di apportare alcune modifiche, volte in particolare a estendere la durata minima del congedo di maternità a 20 settimane e a introdurre un congedo di paternità di due settimane alle stesse condizioni di quello di maternità.

Dopo la prima lettura da parte del Parlamento, l’iter della direttiva ha subito una battuta d’arresto in seno al Consiglio; alla luce dei modesti sviluppi registrati da allora, Jean-Claude Juncker ha annunciato l’intenzione di ritirare la proposta in assenza di progressi nei successivi sei mesi. Le modifiche apportate dal Parlamento sono state criticate dal Consiglio, in quanto la durata minima proposta per il congedo è considerata troppo lunga e fonte di costi eccessivi, mentre secondo alcuni sarebbe una minaccia per il principio di sussidiarietà. L’inclusione del congedo di paternità nell’ambito di applicazione della direttiva sul congedo di maternità ha sollevato alcune critiche, in quanto lo scopo di quest’ultima, secondo alcuni Stati membri, non è di conciliare la vita professionale, familiare e privata.

In Italia, il congedo di paternità è brevissimo! Un giorno obbligatorio nei primi 5 mesi di vita nel bambino retribuiti e un altro paio di giorni. Oltretutto, solo se la madre LAVORA, il padre d'accordo con lei, può usufruire di un ulteriore giorno, rinunciando a quel giorno di congedo la madre stessa! Io non lo ritengo corretto. Se la madre non lavora, il padre non ne ha diritto!! Come vogliamo eliminare queste disparità, se vengono sempre più rimarcate?
E per il congedo parentale? Se il padre usufruisce di 3 mesi, come bonus gli viene dato un mese in più, proprio per incentivare il padre a prendersi più responsabilità. Si, peccato che viene tralasciato il fatto che il congedo parentale dà diritto solo al 30% della retribuzione.. E nel frattempo come vivono madre, padre e figlio? E' normale che il padre, che di solito ha la retribuzione più elevata non ne usufruirà mai!

La nuova iniziativa New start to address the challenges of work-life balance faced by working families (Justice and Consumers, D2&D1 Employment D1& D2 2015/Just/012, August 2015) SPERO rappresenti il punto di inizio di un processo di riflessione e consultazione che conduca ad una nuova iniziativa in materia entro il 2016.

La percentuale delle donne occupate in Europa è il 63,5% lontano dal target Europa 2020 (75%). Il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro è ancora basso in molti paesi dell’Unione, questo anche a causa della scarsa possibilità di poter conciliare l’attività lavorativa con le responsabilità familiari.

E’ ormai necessaria, secondo la Commissione europea, un’azione comune che prevenga l’impatto negativo sulla competitività dei singoli 28 stati membri. La differenza sostanziale dei tassi di occupazione femminile tra gli Stati membri (dal 40% della Grecia al 75% della Svezia) riflette quelle che sono le performance di ciascun mercato del lavoro, dicotomia che mette a rischio la convergenza sociale all’interno di ogni singolo mercato del lavoro.

Tra le misure proposte dalla Roadmap la promozione del lavoro flessibile, la riduzione del pay gap di genere, incentivare l’utilizzo dei congedi parentali, l’introduzione dei congedi per coloro che si prendono cura, i cosiddetti caretaker’s leave.

Tra i suggerimenti della Commissione quindi non solo i congedi di maternità, ma una serie di misure volte a completare la struttura legislativa sui congedi. E’ chiaro l’approccio onnicomprensivo, misure nazionali supportate da iniziative comunitarie, se necessario e appropriato.

Sarà DETERMINANTE, a mio avviso, collegare le nuove iniziative alle politiche esistenti soprattutto nell’ambito della partecipazione femminile del mercato del lavoro e alle disposizioni sui congedi parentali.

724326

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