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RSI e pari opportunità

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Messaggio  0000725243 Lun Apr 04, 2016 9:11 pm

Il tema della differenza di genere nella RSI spinge a riflettere sul ruolo dei diversi attori sociali che dovrebbero promuovere le pari opportunità.
Valorizzare al meglio le capacità femminili, riconoscere alle donne spazi adeguati di protagonismo è fondamentale non solo per il riconoscimento di quell’eguaglianza costituzionalmente tutelata, ma anche per la crescita della democrazia sociale.
La RSI rappresenta seriamente un valido strumento attraverso cui favorire l’accesso e il posizionamento della donna nel mondo del lavoro e dell’impresa. Sussistono, infatti, settori, dove le pari opportunità sembrano essere lontane dal raggiungimento a causa soprattutto di una cultura caratterizzata da stereotipi, e da modelli organizzativi penalizzanti per le donne.
Da alcuni anni l’UE è impegnata nel cercare di trovare soluzioni che determinino una condivisione delle responsabilità familiari, problematica intimamente connessa a quella dell’eguaglianza tra generi.
La scarsa partecipazione femminile, i gap retributivi tra uomini e donne, nonché l’esigua presenza delle donne nei ruoli apicali, sono, infatti, alcuni degli esempi di una diseguaglianza, retaggio di un modello lavorativo patriarcale.
Per contrastare simili fenomeni l’UE è diverse volte intervenuta mediante provvedimenti volti a guidare la politica degli Stati membri.
Tra i principali, è annoverato il Libro Verde del 2001 per incentivare la RSI, l’Agenda Sociale 2005-2010 che afferma come la parità tra uomini e donne sia uno dei principi del modello sociale europeo, nonché la Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015.
La non discriminazione è dunque per l’Unione Europea, un elemento centrale che le imprese devono perseguire nell’ambito del loro impegno sociale.
Tuttavia, l’applicazione effettiva di quelle pari opportunità tanto auspicate dalla legge o dalle norme contrattuali, risulta difficile in molti contesti aziendali. Ciò perché spesso le norme da sole non sono sufficienti a garantire tutele effettive o complete e ancor meno a produrre cambiamenti.
Proprio per questo motivo la RSI diventa fondamentale in quanto si affianca, integra e arriva a superare la norma stessa, agendo su presupposti culturali capaci di innescare cambiamenti organizzativi.
Ritengo che le donne vadano considerate quale valore per l’impresa: come sostenuto da Lea Battistoni molto spesso accade che l’azienda si faccia sfuggire manodopera femminile molto qualificata e non consideri i vantaggi competitivi che la loro assunzione comporta sia dal punto di vista simbolico nei confronti dei competitors stranieri che dal punto di vista strettamente organizzativo legato all’eterogeneità del gruppo e alla capacità di problem solving.
Sarebbe dunque necessario implementare politiche mirate a favorire azioni positive da parte di quelle imprese che intendono effettivamente essere socialmente responsabili.

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Messaggio  0000722554 Mar Apr 05, 2016 1:00 pm

Credo sia particolarmente interessante a tal proposito riportare uno studio condotto da Pietro Ichino, il quale che ha elaborato il c.d. modello "della discriminazione statistica", evidenziando come il datore di lavoro, al momento dell'assunzione, utilizzi "l'appartenenza del lavoratore ad un determinato gruppo come indice di una caratteristica probabile del lavoratore, rilevante ai fini della previsione della sua produttività futura o del suo costo futuro per l'azienda". Secondo tale modello, le donne hanno tassi di assenza più elevati rispetto agli uomini. Il datore di lavoro, quindi, sarà naturalmente portato a dirottare il proprio interesse verso la categoria maschile. Diretta conseguenza di tale tendenza è lo scoraggiamento del popolo femminile, portato a ridurre l'investimento sul proprio capitare umano e ad accontentarsi di lavori nettamente al di sotto delle proprie capacità.
E, se da un lato sono state adottate nel corso degli anni azioni positive volte all'integrazione della donna, dall'altro a seguito di questi interventi antidiscriminatori si è lamentato un atteggiamento eccessivamente favorevole nei confronti del genere femminile.
A mio avviso, è necessario trovare una "terza via", come ha anche sottolineato Gisella De Simone; una via che riesca a fungere da ponte tra l'atteggiamento indifferente nei confronti degli svantaggi a cui devono far fronte le donne e un femminismo eccessivamente accentuato che voglia trovare atteggiamenti discriminatori anche laddove questi non esistano; una via che possa considerare la donna non come un problema, ma come un'opportunità; una via che deve partire dal legislatore, ma che, come hai scritto, deve necessariamente essere seguita nel concreto dalle imprese che mirano ad essere socialmente responsabili.

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Messaggio  0000687434 Mar Apr 05, 2016 1:53 pm

A proposito di questo argomento la regione Veneto è attivamente impegnata da anni per le pari opportunità e in particolare per la promozione dell'imprenditoria femminile, esaltando modelli d'impresa che possano conciliare la vita privata e la vita professionale.
Proprio per questo ho potuto notare su internet, come la giunta di questa regione insieme alla Commissione regionale per le pari opportunità, abbiano intrapreso in anni passati un percorso per cercare di definire un modello di certificazione delle imprese, sulla base del rispetto che queste avevano delle pari opportunità.
La Commissione regionale per le pari opportunità, cosciente dell'importanza della RSI come strumento utile al raggiungimento degli elementi fissati dalle politiche europee ha avviato una serie di dibattiti e discussioni al suo interno, sull'integrazione della parità di genere collegate con la CSR.
Da ciò è emerso che un'azienda in grado di coniugare “ i risultati aziendali” con “i benefici sociali” è amica delle donne (WOMEN FRIENDLY) poiché investe sulle risorse femminili favorendo un giusto equilibrio tra impegni di vita privata, familiare e attività professionale.
È necessario collegare il tema dello sviluppo d'impresa al tema dello sviluppo e del benessere delle persone, più precisamente in questo caso delle donne, diffondendo la cultura delle pari opportunità, demolendo gli stereotipi e le discriminazioni di genere (che vanno molto spesso a discapito del genere femminile non avvantaggiandolo), incentivando e favorendo una maggior partecipazione femminile alla vita dell'impresa, consentire alle donne di partecipare alle decisioni, cercando di permettere la conciliazione del privato con il lavoro.
Spesso si sa, le norme non sono sufficienti a garantire tutele complete ed effettive, proprio per questo in certi casi è necessario affiancare a queste valori, convinzioni e comportamenti socialmente responsabili.

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Messaggio  724716 Mar Apr 05, 2016 6:22 pm

Il problema della parità di genere è un problema che esiste da sempre ma che ha cominciato a essere notato solo da poco tempo. Mi è capitato di leggere in una delle mie ricerche di una pubblicazione fatta per un progetto che interessa le politiche rosa nelle imprese a Belluno. Leggendo mi sono trovata a guardare il problema da una prospettiva diversa che, ammetto, prima non avevo considerato. Prima mi focalizzavo sul problema della non attuazione delle belle parole racchiuse nei decreti emanati di recente. Pare che l'unica via per risolvere questo problema sia la RSI. Le imprese per risolvere questa mancata parità di genere devono sforzarsi di farsi carico di questo problema, apparentemente, spinoso e dannoso per la stessa impresa. E' risaputo che la maggior parte dei destinatari di offerte di lavoro flessibile sono le donne e il motivo è lampante. Dando la possibilità alle donne di accedere a queste forme di lavoro part-time o comunque con ore di lavoro più ridotte permette una conciliazione della vita familiare. Nonostante questo possa essere visto come una soluzione approssimativa, dal momento che costringe la donna ad accontentarsi ad una vita lavorativa ridotta (come scrive appunto Gisella De Simone), mi sembra una delle poche se non l'unica opzione che spesso le donne hanno.
La Responsabilità Sociale da un lato è vero che può attuare meccanismi per ovviare questi problemi ma non penso che potrà mai essere autonoma, nel senso che non potrà mai essere davvero utile senza l'accompagnamento della legge. Però bisogna pensare che forse questo non è l'unico problema: come si potranno mai attuare forme di conciliazione se i mezzi non ci sono? Se le donne non hanno la possibilità di lasciare i figli negli asili o in strutture analoghe come possono pensare di poter avere una vita lavorativa? E questo non vale solo per le donne dipendenti, ma anche alle donne imprenditrici delle imprese stesse. Quello che io mi chiedo è come effettivamente la RSI possa ovviare anche a questa mancanza. Non ci dovrebbero essere più interventi da parte dello Stato sotto questo punto di vista?

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Messaggio  0000734697 Mer Apr 06, 2016 2:15 pm

Proprio due giorni fa, un mio caro amico, a proposito delle pari opportunità e della diversità di genere, mi ha consigliato di leggere un libro: “Genere e responsabilità sociale d’impresa” di Patrizia Di Santo e Claudia Villante, pubblicato nel settembre 2013. È un tema molto interessante e, a parer mio, merita di essere approfondito, a prescindere dall’esame di diritto del lavoro. Proprio per questa ragione e sperando che qualcuno la pensi esattamente come me, ho voluto segnalarvelo.
Sicuramente, prima o poi, avrò modo di leggerlo.
Vi riporto in seguito la prefazione di Anna Lisa Alviti (così vi fate anche un’idea Razz ):
“La strada del rilancio sociale ed economico, come dimostra anche la rinnovata filosofia di intervento della prossima programmazione comunitaria 2014-2020, passa attraverso l’attivazione delle risorse esistenti: umane, sociali, territoriali. Una delle strade da percorrere è quella tracciata dal Piano d’azione sulla Responsabilità sociale di impresa, dove si individuano le variabili strategiche di sviluppo, tra le quali il «genere» è forse la più significativa. Infatti, è attraverso la promozione di azioni mirate alle pari opportunità tra uomini e donne da parte delle aziende nei territori di riferimento che si possono misurare il grado e l’intensità della coesione sociale, le caratteristiche del modello di sviluppo disegnato e soprattutto la capacità di superamento dei vincoli che, a livello locale, incidono sulla piena e completa parità tra i sessi nei contesti lavorativi e sociali. D’altro canto è proprio attraverso una maggiore attivazione delle risorse femminili sia esterne che interne ai mercati di lavoro che si può imboccare la strada della crescita sociale ed economica.
Le autrici del testo riflettono sulla necessità di analizzare a livello empirico le buone prassi esistenti e, a partire da esse, di tracciare linee guida utili a chi intende avviare, riconoscere e valorizzare le azioni, interne ed esterne all’impresa, che mirano al miglioramento del benessere organizzativo.”

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Messaggio  0000723023 Mer Apr 06, 2016 3:28 pm

A proposito di pari opportunità nel mondo delle imprese, mi sono imbattuto in una iniziativa governativa datata giugno 2013. Si tratta di un "piano di inclusione delle donne nella vita economica e sociale del Paese".
Come è possibile leggere dal sito ufficiale (pariopportunita.gov.it), "«Il Piano di inclusione [...] nel confronto con il mondo dell’associazionismo, il mondo accademico e tutti i soggetti interessati, potrà definire, ad esempio, politiche e individuare strumenti per il rafforzamento dei meccanismi di elasticità dell’orario di lavoro e per lo sviluppo di progetti di telelavoro, nonché definire politiche attive per lo sviluppo di un’adeguata offerta di nidi e ludoteche aziendali e di altri servizi di supporto alla genitorialità ed alla cura degli anziani». A ciò, si sarebbe aggiunto un "piano di sostegno per le attività imprenditoriali femminili", in considerazione della strategia "Europa 2000" promossa dalla Commissione Europea.
Anche in questo ambito, dunque, (come è stato possibile riscontrare in molti altri "campi" riguardanti la CSR), le iniziative di governo, mirate ad aumentare le adesioni a politiche di responsabilità sociale esistono, pur nella loro esiguità. Il punto cruciale sta nella volontarietà della CSR stessa, che la rende meramente facoltativa agli occhi degli imprenditori: che sia questo, magari, uno dei suoi punti deboli?
Detto ciò, mi sento di concordare con il/la collega che ha aperto il topic, nella parte in cui precisa di ritenere le donne debbano essere considerate un valore aggiunto all'impresa, sia poichè, come ha ben delineato Gisella de Simone, da esse le aziende possono trarre vantaggi competitivi simbolici, di immagine (maggiore visibilità dell'impresa) e sostanziali; sia anche perchè "Le differenze di genere costituiscono una risorsa e vanno riconosciute e correttamente utilizzate per lo sviluppo delle imprese", secondo quanto detto da Paola Ellero in un interessante articolo (che non mi è ancora permesso di linkare) su manageritalia.it. Il vero problema, a mio parere, sta nel trovare una "terza via" coerente, plausibile e concretizzabile; una "terza via" che smetta di essere (quasi) pura utopia, nonostante le linee guida della stessa possano sembrare già essere ben delineate; una terza via che si traduca in "azioni, non parole", come ben espresso da Luxottica.com, azienda, tra le altre, fondatrice dell'associazione "Valore D", nata per promuovere il talento e la leadership femminile.

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RSI e pari opportunità  Empty Il lavoro femminile nobilita la società.

Messaggio  0000725652 Gio Apr 07, 2016 2:41 pm

Una società si misura dal grado di emancipazione della donna, così scrivevan Marx ed Engels. Concetto ripreso e sviscerato poi dal movimento femminista che di anno in anno, di lotta in lotta, sono riusciste ad ottenre diriti e una maggiore sensibilizazione -necessaria- circa l'emancipazione femminile.
Sempre citando Marx è il lavoro che nobilita l'uomo e come tale da valore alla sua esistenza. sono le capacità personali che determinano "Il Valore" vero di una persona. Chiaro è che questo non deve avere due pesi e due misure trovandosi davanti alla differenza di sesso perchè questo constituirebbe due valori diversi di serie A e di serie B come lo è stato per secoli e per anni. L' emancipazione della donna non si misura solamente dalla fuoriuscita dal modello societario patriarcale della famiglia, ma soprattutto anche nel garantire e nell'essere pari in diritti e possibilità in modo sostanziale. Avere due pesi e due misure che nel concreto è: avere una discrepenza retributriva per medesima mansione e medesima specializzazione. Questa ingiustizia palese e formale la conoscevano molto bene le sarte 187 della Ford di Daghenam che nel 1968 si son battute per avere un pari trattamento retributivo a quello maschile.
Poi esistono modi meno diretti, ma che in sostanza, sono la medesima discriminazione; Proposte di formule contrattuali differenti che hanno un minimo salariale differente ad esempio contratti part-time ma che ai fatti risultano come tempo pieno, oppure demansionamento. ovvero tutti strumenti che non portano a partià retributiva e parità di responsabilità e parità di cariera.
Quest'ultimo punto è tristemente noto anche nell'università di Bologna. Il numero di professori ordinari di sesso maschile supera di gran lunga quello femminile ( se non ricordo male il dato è il 20%), riporta un referente del CUG di UniBO, durante la conferenza "Come la questione femminile ha cambiato il diritto e la politica" tenutasi l'8 marzo a palazzo Malvezzi.
Queste dinamiche comportano equilibri nella società che vanno a ledere il principio di egualianzia sia in senso formale sia in senso sostanziale. Deve essere nelle corde della RSI tale discorso in quanto si vadano a toccare punti fondamentali della nostra società. La parità retributiva può anche essere inserita in un concetto di hard law ma la RSI può renderla sostanziale nelle sue forme.

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RSI e pari opportunità  Empty RE: Il lavoro femminile nobilita la società.

Messaggio  0000725088 Sab Apr 09, 2016 11:10 am

Le donne devono essere più competenti, più morali e più socievoli.
Secondo uno studio che analizzava le preferenze dei selezionatori tra candidati donna e uomo, sulla base dei requisiti competenza, socievolezza e moralità, vengono preferiti comunque gli uomini, e alle donne viene richiesta una maggiore percentuale rispetto ai candidati uomini di ogni caratteristica.
Come a dire, tu sei donna, quindi devi dimostrare di essere più competente, più socievole e più morale (questa caratteristica risponde alla domanda: quanto sei affidabile?).
Mi sembra quindi di poter affermare che alle donne è richiesto ancora oggi di dover palesare di essere un candidato appetibile quanto un uomo, come a dire che il genere femminile abbia un qualcosa in meno a quello maschile, e solo donne con un certo quid androgeno possono aspirare ad essere considerate appetibili nel mondo del lavoro.
Stereotipi come "donna:madre", "donna:debole" e altri sono ancora oggi massicciamente presenti nella nostra società, con questo non voglio affermare che la donna non sia madre o che non debba esserlo, solo che nel nostro tessuto sociale si pensa solo alla donna in tal senso. Come se le donne non possano essere anche altro, o come se non potessero conciliare la vita privata col lavoro.
Siamo nel terzo millennio e le donne si trovano ancora a dover affermare i loro diritti, come se i diritti avessero un genere.
Sembra che oggi le donne debbano lottare per inserirsi nel patto sociale.
La donna come angelo del focolare, la donna che cucina, che cresce i figli, che non si lamenta sembra essere tuttora la visione prevalente.
A mio avviso, l'affermazione della donna nel mondo del lavoro è basilare per un cambiamento di cultura che non veda più la donna come solo angelo del focolare.

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RSI e pari opportunità  Empty valorizzazione delle differenze e conciliazione

Messaggio  0000722279 Sab Apr 09, 2016 3:20 pm

Vorrei collegarmi agli interventi precedenti parlando di valorizzazione delle differenze di genere come mezzo di raggiungimento della parità tra i sessi. Valorizzare le differenze intrinseche di genere presuppone un riconoscimento dell'esistenza di esse, riconoscere che i sessi siano diversi e abbiano peculiarità proprie è dunque il primo passo per il raggiungimento della parità di trattamento. Parlare di pari opportunità ha però portato il legislatore, nonché l'opinione pubblica, ad appiattire i generi privilegiando una visione 'neutra' di essi, completamente ignorando la valorizzazione delle differenze. Porto come esempio un interessante intervento del giudice Elisabetta Tarquini alla conferenza di venerdì 8 Aprile sul tema 'Parità sul lavoro, quanto siamo lontani?', nel quale il giudice  si interrogava sui motivi per i quali vi è una scarsissima presenza femminile nei ruoli direttivi delle magistrature. Come ha ricordato il giudice Tarquini, un ostacolo era sicuramente il requisito di anzianità visto che le donne hanno avuto accesso alle cariche della magistratura solo nel 1963, requisito che è stato abolito negli ultimi anni. La ragione principale ahimè risulta essere l'autoesclusione, determinata dal fatto che le donne risultano essere meno disponibili a fare domanda per incarichi direttivi a causa dell'ingente mole di lavoro che comportano, mole che renderebbe pressoché impossibile una corretta gestione della vita familiare.
La gestione familiare nell'ottica di conciliazione tra tempi di vita e tempi del lavoro, soprattutto per le donne ma non solo, ha un'enorme impatto nel mondo del lavoro: essa purtroppo produce esisti negativi per il mondo femminile quali la volontaria cessazione del rapporto del lavoro causata dalla palese impossibilità di conciliazione o quali il progressivo aumentare del fenomeno dello stress femminile sul lavoro, di cui si parla in uno dei topic lanciati su questo forum. Un passo avanti per favorire la conciliazione era stato fatto dalla legge 53 del 2000, per la quale era stato creato lo slogan 'le donne cambiano i tempi'; l'approccio di questo intervento del legislatore teneva conto della complessità del fenomeno e delle differenze tra i generi alla luce di numerosi studi. Purtroppo oggi stiamo tornando indietro, la maternità è rimasta la prima forma di discriminazione sul lavoro, essendo tra l'altro la più visibile e verificabile,quando essa, tanto quanto la paternità, dovrebbe essere considerata come un valore sociale di essenziale importanza, e proprio per questo trovo indecorosi tutti i numerosissimi casi in cui, durante un colloquio di lavoro, la candidata donna si sente chiedere se ha intenzione di avere figli a breve.
Chiudo con una mia riflessione maturata dopo aver partecipato alla conferenza sulla parità sul lavoro: come mai ogni qual volta si apre un dibattito sulla parità di genere questa viene considerata come una vera e propria conquista e non come qualcosa di dovuto? E come mai questo dibattito è considerato chiuso ed obsoleto da parte dell'opinione pubblica, che lo considera come qualcosa di stantio che ha già avuto i suoi giorni di gloria e che ormai non ha più ragione di esistere? ebbene, sono proprio opinioni come queste che mi spingono a puntare a tenere vivo il dibattito e a chiedermi, con rammarico, quanto siamo lontani dalla parità di genere e se mai la raggiungeremo.

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Messaggio  0000724755 Sab Apr 09, 2016 5:35 pm

0000725088 ha scritto:Le donne devono essere più competenti, più morali e più socievoli.
Secondo uno studio che analizzava le preferenze dei selezionatori tra candidati donna e uomo, sulla base dei requisiti competenza, socievolezza e moralità, vengono preferiti comunque gli uomini, e alle donne viene richiesta una maggiore percentuale rispetto ai candidati uomini di ogni caratteristica.
Come a dire, tu sei donna, quindi devi dimostrare di essere più competente, più socievole e più morale (questa caratteristica risponde alla domanda: quanto sei affidabile?).
Mi sembra quindi di poter affermare che alle donne è richiesto ancora oggi di dover palesare di essere un candidato appetibile quanto un uomo, come a dire che il genere femminile abbia un qualcosa in meno a quello maschile, e solo donne con un certo quid androgeno possono aspirare ad essere considerate appetibili nel mondo del lavoro.
Stereotipi come "donna:madre", "donna:debole" e altri sono ancora oggi massicciamente presenti nella nostra società, con questo non voglio affermare che la donna non sia madre o che non debba esserlo, solo che nel nostro tessuto sociale si pensa solo alla donna in tal senso. Come se le donne non possano essere anche altro, o come se non potessero conciliare la vita privata col lavoro.
Siamo nel terzo millennio e le donne si trovano ancora a dover affermare i loro diritti, come se i diritti avessero un genere.
Sembra che oggi le donne debbano lottare per inserirsi nel patto sociale.
La donna come angelo del focolare, la donna che cucina, che cresce i figli, che non si lamenta sembra essere tuttora la visione prevalente.
A mio avviso, l'affermazione della donna nel mondo del lavoro è basilare per un cambiamento di cultura che non veda più la donna come solo angelo del focolare.

Tutto ciò che è stato riportato nel commento di cui sopra è purtroppo ancora tristemente realtà di tutti i giorni. Anche nell'articolo 37 della Costituzione si fa riferimento a "l'adempimento della sua (della donna) essenziale funzione familiare"; insomma, la donna deve inevitabilmente portare sulle sue spalle il peso della famiglia, poiché gli stereotipi la vogliono dispensatrice di cura dei propri cari, e oltre a questo deve lavorare quanto (anzi, più, per essergli considerata pari) l'uomo.
Non c'è secondo me altra via per realizzare una parità di genere che un cambiamento di mentalità; sì, è vero, le differenze tra lavoratore e lavoratrice a livello fisico ci sono; è compito del legislatore, prima ancora che di buone pratiche di RSI, fare in modo però che queste non si traducano in discriminazione nei confronti della donna in quanto tale.
Andando a considerare quali siano le misure più appropriate per rendere realtà la parità di genere, coniugandola con l'antidiscriminazione, mi vengono in mente i vari sistemi di conciliazione vita-lavoro: anche questi partono spesso dal presupposto che la vita della donna sia imperniata sulla sua fondamentale funzione familiare. Si spinge sempre più, anche da parte dell'Unione Europea, verso una visione sempre più condivisa degli obblighi familiari, allargando anche agli uomini la titolarità delle agevolazioni di cui tradizionalmente è destinataria la donna. Se da una parte ciò è auspicabile per una più equa ripartizione delle funzioni all'interno della famiglia, in un'ottica di diritto antidiscriminatorio (ripreso dall'elaborazione che ne ha dato il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Ruth Bader Ginsburg) e quindi per un riequilibrio dei ruoli, è necessario prendere anche in considerazione il fatto che il lavoratore vede aumentare quelli che sono i vantaggi che questi ha comparativamente sulla donna, con la conseguenza che invece di appianare il gender gap questo risulta enfatizzato.
Dobbiamo considerare anche come le misure di conciliazione siano utili a incidere sulla partecipazione femminile nel mondo del lavoro, ma non necessariamente siano utili sul fronte della qualità del lavoro: insomma, questo tipo di misure può convivere con basso reddito e bassa valorizzazione della donna.
Per concludere, ben vengano questo tipo di strumenti, ma è necessario farli convivere con una forte valorizzazione del diritto antidiscriminatorio.

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Messaggio  724859 Lun Apr 11, 2016 9:57 am

Il tema delle pari opportunità è un problema che riveste una grande importanza nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa. Da parte della responsabilità sociale delle imprese, infatti, può venire un impulso per il superamento di ostacoli che incidono sulla parità dei sessi, sui differenziali tra i salari ,sugli squilibri che si manifestano nell’assunzione di poteri decisionali e sulla sottovalutazione del lavoro femminile. Credo che un indice significativo per valutare i comportamenti virtuosi sia proprio questo: indagare su certificazioni etiche che devono necessariamente dipendere anche dal conseguimento delle pari opportunità tra uomini e donne e dalla coesione sociale. Non è forse un diritto costituzionalmente tutelato quello dell’eguaglianza? A questi temi si accosta anche l’attenzione dell’Europa che pone al centro delle politiche comunitarie la duplice strategia orientata allo sviluppo economico e alla coesione tra i soggetti. Ad esempio la fondazione per la diffusione della RSI nel 2011 ha pubblicato un monitoraggio sulle politiche regionali in tema di CSR; tra le aree di interesse vi era quella delle pari opportunità: alcune regioni e province autonome hanno definito attraverso la normativa locale indirizzi per la promozione del tema. La Provincia autonoma di Bolzano attraverso la legge provinciale del 1997,la Regione Lombardia tramite legge statutaria del 2008, e ancora Regione Puglia, Toscana e Veneto attraverso leggi regionali. Gli interventi realizzati in materia di pari opportunità includono i contributi ed in misura minore la costituzione di commissioni ad hoc. Molti enti hanno inoltre sottolineato come siano state integrate azioni di informazione e sensibilizzazione e l’attribuzione di criteri premiali per le imprese femminili nell’accesso ai bandi di finanziamento. Perché al giorno d’oggi bisogna ancora trovarsi di fronte a scenari che vedono le donne esclusivamente come soggetti adempienti “l’essenziale funzione familiare”? A questo proposito vorrei ricollegare un’intervista al noto avvocato Giulia Bongiorno per la presentazione del suo libro “ Le donne corrono da sole” con il quale lancia un attacco contro le matrici culturali che vedono la donna non in grado di conciliare lavoro e vita familiare. “ Ci siamo accontentate di ottenere dei diritti sulla carta. È il momento di lottare per poterli esercitare”. “ Dobbiamo ambire ad avere molto più degli uomini se davvero vogliamo recuperare il meno avuto fin qui. Secoli di discriminazioni, soprusi, leggi sfavorevoli. Lo considero un risarcimento per tutto quello che abbiamo passato.” dice con fermezza l’avvocato. Concludendo, per questi motivi, la Responsabilità sociale d’impresa riveste un’importanza fondamentale proprio perché tra i tanti temi che tocca, quello delle pari opportunità si colloca su un terreno fragile e che deve essere incrementato non solo tramite l’inclusione delle donne nelle aziende e più in generale nel mondo lavorativo ma anche grazie a campagne di sensibilizzazione che agiscano su convinzioni culturali che vanno al di là delle norme di legge.

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Messaggio  0000624438 Lun Apr 11, 2016 5:21 pm



Al di là delle dichiarazioni di intenti del Ministero delle Pari Opportunità che sbandiera l’effettiva realizzazione della parità di genere nel mondo del lavoro, di fatto, la condizione della forza lavoro femminile è obbiettivamente posta in una situazione svantaggiata. Testimonianza di ciò non è tanto il trattamento riservato alla manodopera femminile, che, una volta assunta, beneficia di tutte le tutele normativamente riservatele, ma piuttosto la triste considerazione che un datore di lavoro, a parità di offerta, tra un lavoratore uomo e un lavoratore donna, non esita ad assumere un uomo. La donna, inevitabilmente, soprattutto quando è madre, effettua molte più assenze dal lavoro, sia per la sua condizione di gestante, sia per la sua condizione di genitore che deve accudire la prole. Ancora sono ben pochi gli uomini che usufruiscono dei permessi per seguire i figli! Un datore di lavoro, quindi, di fatto, assumendo una donna si trova a dover sopportare oneri economici molto più consistenti e spesso a dover sostituire la lavoratrice assente con altra manodopera supplente, assunta, magari, con contratti a termine o precari. Il problema esiste anche in un’ottica di ottimizzazione dell’ organizzazione lavorativa, dato, che la manodopera fluttuante nella presenza e nella assiduità, procura danno agli altri lavoratori ( alterando ad esempio gli orari e i turni o rallentando la produzione quando la lavoratrice non viene sostituita con altra forza lavoro ) oltre che sfavorire la crescita professionale e la specializzazione della lavoratrice stessa, troppo assorbita da altri ruoli, esterni all’ambito lavorativo. Ecco allora che viene da chiedersi se, per garantire la vera parità di genere nel mondo del lavoro, non sarebbe il caso non solo di emanare norme a tutela della lavoratrice, come già fatto, ma anche a tutela del datore di lavoro, cercando di applicare uno sgravio fiscale/ economico a favore del datore di lavoro che assume manodopera femminile. In Italia le imprese sostengono una parte del costo della tutela della maternità, ma sarebbe interessante vedere se possibile indennizzarle completamente e valutare quali e quanti ne sarebbero i costi.

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Messaggio  0000724504 Lun Apr 11, 2016 8:01 pm

Nonostante gli sforzi compiuti dai legislatori europei e italiani nella rimozione delle discriminazioni esplicite e formali esistenti, le donne continuano a subire una serie di svantaggi rispetto agli uomini, e si trovano, ancora oggi, a non avere le stesse loro opportunità.
La visione della divisione dei ruoli, fondata sul salario del capofamiglia e le donne “regine del focolare” relegate al lavoro familiare e domestico, è ancora fortemente radicata nella mente di tanti, anche donne, e in diverse società, dove la tradizione rimane più forte di qualunque spiegazione razionale, persistono ancora tanti “luoghi comuni”, stereotipi e pregiudizi difficili da abbattere.
Anche se le donne, rispetto agli uomini, raggiungono risultati qualitativamente migliori nei percorsi formativi, difficilmente riescono a raggiungere le “stanze del potere”: i meccanismi che governano i percorsi di carriera nelle organizzazioni impediscono l’ascesa delle donne nelle cosiddette “posizioni apicali” e gli stereotipi di genere tendono a escluderle dai vertici dirigenziali, che rimangono un territorio ancora prettamente maschile, accentuando così in maniera sistematica lo svantaggio delle donne nel mercato del lavoro.
La reale presenza di un “soffitto di cristallo”, che ostacola l’accesso delle donne ai ruoli decisionali e impedisce loro di fare carriera, determina una differenza salariale di genere, giacché gli uomini occupano posizioni maggiormente retribuite e le donne occupazioni meno redditizie.
L’introduzione delle nuove modalità di lavoro flessibile hanno senza alcun dubbio facilitato l’accesso delle donne nel mondo del lavoro contribuendo all’ampliamento dei margini di libertà e autonomia sia nella gestione del loro lavoro che nella conciliazione della doppia presenza, ma a sua volta ha generato maggiore instabilità, precarietà e incertezza alimentando così differenze di genere sempre più marcate.
La complessità del fenomeno è data dal singolare intreccio di stereotipi sociali e rigidità organizzative, che produce forme più o meno esplicite di discriminazione o esclusione nei confronti dell’offerta di lavoro femminile e al contempo condizionano e vincolano le preferenze delle donne e le loro scelte professionali.
Le donne si concentrano in particolari occupazioni o mansioni, non cogliendo le altre possibili opportunità, probabilmente per due ordini di ragioni: la prima è rappresentata dalle preferenze personali, la seconda dalle barriere costruite in seguito alla discriminazione attuale o passata, dall’esistenza di stereotipi di genere che vanno a condizionare sia le scelte delle donne sia dei datori di lavoro.
Generalmente non vi è consapevolezza che gli stereotipi di genere possono essere dannosi per il buon funzionamento del sistema economico riducendone l’efficienza e le sue prospettive di sviluppo: l’esclusione della maggior parte delle donne dalla maggior parte delle occupazioni è uno spreco di talento e di risorse umane.
Il genere femminile risulta, in tal modo, segregato nelle nicchie di mercato meno appetibili o nei settori economici meno retribuiti, di conseguenza, la condizione di segregazione che le donne vivono, le penalizza e le ostacola nell’accesso a professioni più ambiziose.
Oltre 8 donne su 10 sono occupate nel settore dei servizi (82,9%) e il rimanente 17% nell’industria e nell’agricoltura (solo l,1% nelle costruzioni). Quote maggiori di uomini sono occupate nei settori tradizionalmente “maschili” dell’industria (24,9%) e delle costruzioni (13,5%), anche se il settore dei servizi risulta prevalente (57,2%).
La concentrazione femminile più elevata si osserva in tre settori del terziario: istruzione e formazione pubblica e privata, sanità e assistenza sociale, ovvero vengono professionalizzate le classiche mansioni di cura da sempre svolte dalle donne all’interno delle proprie mura domestiche.
Le aspettative di carriera delle donne rimangono tutt’oggi deluse, nonostante siano più qualificate e istruite degli uomini, esse difficilmente riescono a raggiungere posizioni apicali all’interno delle aziende e delle amministrazioni, che rimangono un territorio ancora prettamente maschile.
Le donne sono presenti in maggior numero in quelle professioni con minore autorità e minor prestigio, generalmente remunerate con un reddito inferiore:
Il World Economic Forum è una fondazione senza fini di lucro fondata nel 1971 dall’economista Klaus Schwab, che dal 2006 ha iniziato a redigere un rapporto annuale che misura il divario di genere in termini di opportunità.
I quattro fattori tenuti in considerazione nel rapporto sono:
Economic Participation and Opportunity: l’accesso al mondo del lavoro e le opportunità economiche, in termini di retribuzione;
Political Empowerment: la responsabilizzazione e la realizzazione politica, in particolare la rappresentanza nei processi decisionali;
Educational Attainment: l’accesso all’educazione;
Health and Survival: la salute e la sopravvivenza, in base ai dati sull’aspettativa di vita.
Quindi la “classifica” finale del World Economic Forum è stilata tenendo in considerazione dati relativi a quattro aree di interesse: economia, partecipazione politica, istruzione e salute.
Analizzando l’Indice Globale sulle discriminazioni di genere “Global Gender Gap Index”, si può affermare con evidenza che le pari opportunità nel nostro Paese rimangono ancora un miraggio.
Accrescere in misura significativa l’occupazione femminile è un’impresa difficile e complessa, che prevede l’utilizzo di politiche del mercato del lavoro e di sostegno alla famiglia, che tengano conto delle aspirazioni e dei bisogni delle donne, interventi di welfare mirati a sostenere il lavoro extra–domestico e a renderlo una scelta libera, ma soprattutto possibile, per le donne che lo desiderano, rendendo le relazioni di genere più eque, e i rapporti tra vita e lavoro più armoniosi.
Le donne rappresentano uno dei principali motori di crescita economica, quindi è indispensabile sostenerle affinché trovino un’occupazione gratificante che possa dare merito al loro talento, in modo da sfruttare al meglio l’enorme capitale umano femminile inattivo.
Per fare ciò è necessario modificare la concezione stereotipata del ruolo della donna nella società, riconoscere e valorizzare capacità e talenti oggi trascurati, ignorati, discriminati.
Pensare alle donne come a un volano per l’economia potrebbe essere una bella immagine e una bella rivincita per tutte le donne che sono state viste per molto tempo come una componente ausiliaria del mercato del lavoro, dominio e prerogativa maschile.
Una frase di Charlotte Wilson riassume la condizione della donna ancora oggi: «Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini, per essere giudicate brave la metà. Per fortuna non è difficile».

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Messaggio  0000724041 Mer Apr 13, 2016 2:24 pm

In quanto studentessa lavoratrice, quella delle pari opportunità è una tematica per me molto sentita. Entrando a far parte del mondo del lavoro, mi sono subito resa conto di quanto sia importante per noi donne avere un lavoro che non solo ci permetta di acquisire una certa indipendenza economica, ma che ci gratifichi e ci arricchisca come persone. Mi rendo conto però, che non sia sempre facile riuscire a conciliare il lavoro con gli altri impegni, non solo familiari ma anche sportivi, di studio ecc...
Voglio, a questo punto, portare alla luce la mia esperienza personale, ritenendo che possa rappresentare un valido esempio per confermare, ancora una volta, che noi donne non abbiamo nulla da invidiare agli uomini.
Lavoro da 4 anni in un hotel il cui staff è, non volutamente, composto esclusivamente da donne. Alcune di noi sono mamme, altre (come me) studiano all'università e altre ancora hanno addirittura un secondo lavoro. Si è ormai instaurato tra noi un rapporto complice e solidale, abbiamo trovato un nostro equilibrio a livello organizzativo e l'attività è perfettamente affermata nonostante l'assenza di uomini. Smontare e rimontare letti a castello o trasportare casse di bevande potrebbero essere considerate "mansioni maschili" ma per noi sono all'ordine del giorno. Certo, non è sempre tutto facile ma io sono convinta che con la buona volontà si possano fare grandi cose.
Con questo, non voglio illudermi che la situazione possa essere completamente ribaltata in questo senso, ma tengo a sottolineare l’importanza delle risorse femminili e quanto siano fondamentali l'organizzazione e la forza di volontà. Mi rendo conto, però, che in alcuni contesti possano non essere sufficienti ed è qui che, a parer mio, deve intervenire lo Stato per garantire l'effettività dell'art. 3 Cost., essendo il lavoro uno di quegli aspetti che contribuiscono indubbiamente al "pieno sviluppo della persona umana".
Consentire alle donne di realizzarsi anche in ambito lavorativo è indice di sviluppo non solo economico ma anche sociale mentre relegare le donne alle mansioni domestiche e ridurre gli uomini alla sola funzione lavorativa è fortemente irrispettoso delle attitudini di ogni persona.
Alcuni piccoli passi sono già stati fatti, ma il problema non può dirsi risolto. Un aiuto, seppur minimo, per le madri lavoratrici è stato dato dall’introduzione con l. 53/2000 del congedo parentale per i padri, riformato in seguito dalla Legge Fornero e ora dal Jobs Act. Le statistiche mostrano però che la società italiana non incentiva scelte di questo tipo né a livello nazionale né a livello aziendale e che il panorama lavorativo italiano è ancora caratterizzato, a volte, da un insano maschilismo.
Le nuove forme di lavoro flessibile sono invece, a parer mio, un'arma a doppio taglio nel senso che da un lato aprono l'accesso al mondo del lavoro a molte più donne, consentendo una migliore gestione del loro tempo ai fini di una realizzazione personale ma dall'altro lato rischiano di creare situazioni di instabilità e di mantenere comunque evidente la discriminazione di genere.
Sono ancora tante le imprese che chiedono alle aspiranti lavoratrici se hanno figli o se hanno intenzione di averne per non doversi trovare poi a sostituirle, così come sono tante le donne che si vedono costrette a scegliere tra la carriera e la famiglia perché prive di aiuti; altrettante sono le donne la cui autorità è sminuita dal semplice fatto di essere donne e questo è davvero frustrante.
Emerge, a questo punto, l’importanza di avere nel territorio imprese responsabili che assumano figure femminili vedendole non come dei pesi ma come un valore aggiunto per l’attività. Non so, però, fino a che punto la RSI possa essere sufficiente dal momento che, in paesi come la Svezia, la Francia e la Germania, l’incentivo alle pari opportunità non proviene tanto dalle imprese quanto dallo Stato.

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Messaggio  0000690197 Gio Apr 14, 2016 10:12 am

A mio parere la valorizzazione della donna negli ambienti di lavoro e la sua posizione di eguaglianza rispetto all'uomo dipendono prima di tutto dalla visione e dalla considerazione che la società ha della donna, delle sue capacità, delle sue attitudini, della sua posizione all'interno della famiglia. Purtroppo viviamo ancora in una società in cui in alcuni nuclei familiari la donna viene considerata come l'unica addetta alla cura della casa e alla crescita dei figli e di conseguenza non può dedicare tempo alla sua crescita lavorativa e alla sua realizzazione personale. Dunque per ottenere pari opportunità a livello lavorativo è necessario che la società consideri la donna e l'uomo in posizione di parità innanzitutto al di fuori dei luoghi di lavoro; anche se al giorno d'oggi questa parità sembra scontata nell'effettività non è ancora così sia all'interno della famiglia che nei luoghi di lavoro.
Molto interessante per comprendere come sia importante la visione che ha la società del ruolo dell'uomo e della donna è stata una teoria riscontrata durante lo studio per l'esame di Diritto Comparato: la teoria anti-stereotipo elaborata da Rut Ginsburg (nominata nel 1993 giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti). Rut Ginsburg per sensibilizzare la società e per promuovere l'eguaglianza tra uomo e donna decide di rappresentare ricorrenti uomini nelle cause per discriminazione sulla base del sesso davanti alla Corte Suprema; il suo bersaglio erano le classificazioni formali basate sul sesso, dunque legittimare il ruolo di cura familiare dell'uomo significava porre le condizioni per la reale emancipazione femminile. Nel primo caso di discriminazione sul sesso ai danni dell'uomo la Corte letteralmente rise, ma ben dieci anni dopo l'inizio della campagna della Ginsburg le cause per discriminazione sollevate da ricorrenti uomini erano addirittura più numerose di quelle sollevate da ricorrenti donne.
Allo stesso modo della Ginsburg la responsabilità sociale dell'impresa deve porsi come metodo di reale emancipazione della donna in quanto un'impresa non può considerarsi socialmente responsabile per il solo fatto di rispettare con rigore i divieti di discriminazione ma lo è se mostra un valore aggiunto rispetto alla normativa, ovvero se sa trasformare la presenza femminile da problema a opportunità. Un'organizzazione eterogenea infatti oltre ad essere un vantaggio di immagine aumenta di gran lunga le capacità creative e di risoluzione dei problemi dell'impresa.

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Messaggio  0000728628 Ven Apr 15, 2016 12:27 pm

Uno degli obiettivi principali della politica europea è quello dello sviluppo sostenibile.La dichiarazione sui principi direttori dello sviluppo sostenibile (giugno 2005) mira a promuovere "una società democratica,sana,sicura ed equa,fondata sull'integrazione sociale e la coesione,che rispetti i diritti fondamentali e la diversità culturale,assicuri la pari opportunità tra uomini e donne e combatta la discriminazione in tutte le sue forme".Per il perseguimento di tale obiettivo è necessaria la partecipazione delle imprese e delle parti sociali per rafforzare "il dialogo sociale,la responsabilità sociale delle imprese al fine di favorire la condivisione di responsabilità riguardo l'attuazione di metodi di produzione e di consumo sostenibili". La commissione europea definisce la responsabilità sociale d'impresa come "un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile,cioè un approccio di gestione aziendale che rafforza la competitività, la coesione sociale e la protezione dell'ambiente. Più in generale,la RSI è uno strumento che può contribuire al raggiungimento degli obiettivi delle politiche dell'Unione europea,di competitività,di occupazione,di coesione sociale,di protezione dell'ambiente,ma anche allo sviluppo e ad una migliore governance globale,integrando gli attuali strumenti politici quali la legislazione e il dialogo sociale ". Ciò premesso,si comprende come la responsabilità sociale d'impresa può essere uno strumento essenziale per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile contribuendo alla promozione di azioni a favore delle pari opportunità. A livello nazionale è importante ricordare l introduzione,5ottobre 2009,della CARTA PER LE PARI OPPORTUNITÀ E L'UGUAGLIANZA SUL LAVORO; si tratta di una dichiarazione volta alla diffusione di una cultura aziendale e di politiche delle risorse umane inclusive capaci di valorizzare i talenti in tutta la loro diversità. Al fine di guidare le imprese aderenti,la carta contiene impegni programmatici basati su principi ed elementi chiave di efficaci programmi di cambiamento. Più in generale,lo scopo è quello di dare origine ad un ambiente di lavoro nel quale è assicurato oltre che le pari opportunità anche il riconoscimento di competenze individuali; ciò favorisce,da un lato la competitività e il successo dell'impresa e dall'altro rappresenta un atto di equità e coesione sociale.
A tal punto la domanda sorge spontanea:nel mondo del lavoro si assiste effettivamente alla promozione dell'imprenditorialità femminile? E soprattutto: la promozione dell'imprenditorialità femminile può rafforzare la responsabilità sociale ed ambientale delle imprese e contribuire allo sviluppo sostenibile?
Attraverso una ricerca avente ad oggetto un campione di imprese italiane di dimensioni,settori e collocazione geografica,differenti si è cercato di comprendere il legame fra RSI e pari opportunità. Il risultato della ricerca ha evidenziato come non vi è,spesso,una precisa consapevolezza di come la conciliazione,o le pari opportunità di genere,siano considerate come pratiche di responsabilità sociale.
Si desume come il tema della parità di genere sia una carenza o meglio una tra le possibili ricadute della RSI. La questione non riguarda semplicemente la parità tra uomo e donna,ma anche tutte le relative problematiche concernenti la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare,la conciliazione fra responsabilità lavorativa e responsabilità famigliare,e la condivisione delle stesse da parte di uomini e donne.Nel corso del 2007 sono stati pubblicati importanti documenti sul tema: P.A.R.I (Padri Attivi nella Responsabilità Interna alla famiglia;il progetto Bollino Rosa-Sano(stesse opportunità nuove opportunità),promosso dal ministero del lavoro nell''ambito delle iniziative nazionali per l' Anno europeo contro le discriminazioni di genere,razza e origine etnica,religione,età e orientamento sessuale. Dal lungo lavoro eseguito in questi anni sul territorio della Provincia di Torino,e in particolare dalla Rete di Parità nello Sviluppo Locale è emerso che la promozione delle pari opportunità e le pratiche di responsabilità sociale possono trarre maggiore credibilità ed efficacia se vi è un'alleanza stabile tra autorità pubbliche,imprese private,organismi che operano a favore delle PO e soggetti che si occupano di RSI. È necessario Che le imprese debbano ricevere una risposta adeguata e soddisfacente da parte delle istituzioni per mettersi in gioco e lavorare per agevolare donne e uomini a conciliare tempi di vita e di lavoro. Ad esempio: è inutile che un'impresa garantisca flessibilità di ingresso e uscita dal lavoro,se non vi sono uffici pubblici o esercizi commerciali aperti in quegli orari. Pertanto per ottenere risultati duraturi occorre lavorare con le imprese e nelle imprese su progetti specifici e cercare di costruire, nel territorio,una cultura della responsabilità e delle parità.

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Messaggio  0000724171 Sab Apr 23, 2016 9:02 am

Vi giro questo interessante articolo del "Il sole 24 ore" su parità di salario tra uomini e donne.

“Quando abbiamo proposto al nostro amministratore delegato in Italia di estendere la copertura assicurativa dei dipendenti alle coppie di fatto, anche omosessuali, lui ha risposto: “Perché non è già così?”. Mentre in Parlamento si spacca la maggioranza sul disegno di legge Cirinnà, ci sono realtà in cui le unioni civili, anche fra persone dello stesso sesso, sono riconosciute a tutti gli effetti come i matrimoni. Si tratta di Zurich Insurance Group, che ha da poco nominato Mario Greco (ex Assicurazioni Generali) nuovo amministratore delegato. Il riconoscimento alle coppie di fatto è solo un caso? Tutt’altro, è un tassello di una politica di diversity e di inclusione messa in atto a più livelli. A partire dalla parità salariale.


“I numeri testimoniano il nostro impegno nella valorizzazione della diversity a cominciare dai nostri dipendenti che sono al 49% donne e al 51% uomini. Non è solo una questione di organico in generale, ma anche di vertici: il nostro comitato direttivo è composto al 50% da donne e al 50% da uomini. È il risultato di un programma applicato negli anni e che non è ancora arrivato al suo compimento” spiega Oliviero Bernardi, responsabile Risorse umane di Zurich in Italia. Il gruppo è la prima compagnia assicurativa a livello mondiale a ricevere, in sei paesi tra cui l’Italia, la certificazione EDGE (Economic Dividends for Gender Equality), valutazione globale e certificazione di business standard per la parità di genere che può essere applicata in tutti i paesi e settori industriali, sviluppata dalla Edge Certified Foundation e lanciata in occasione del World Economic Forum nel 2011.

Un punto debole della “parità” in azienda è quello delle percentuali nel management. Siete riusciti a raggiungere un equilibrio di genere anche lì?
E’ una delle azioni che abbiamo in programma per il 2016. Intendiamo agire sulla carriera delle donne rivedendo i processi di promozione. In particolare nelle promozioni al middle management abbiamo riscontrato una bassa partecipazione delle donne ai colloqui perché ci sono troppi uomini in posizioni elevate che tendono a “preservarsi”, quindi promuovono loro “simili”.
Un altro punto debole solitamente è il gap salariale fra i due generi a parità di mansioni. Come avete affrontato il tema?
Partiamo dal principio che il merito deve essere il parametro in base al quale riconoscere promozioni e aumenti. Ci sono, però, strumenti pratici che permettono di evitare eventuali storture. È necessario, innanzitutto, avere regole chiare di politica retributiva. Un’altra misura cui siamo ricorsi è quella della trasparenza: pubblichiamo i nomi delle persone che vengono promosse o che ricevono aumenti. La trasparenza permette un controllo sociale, che a sua volta garantisce la corretta applicazione delle regole. In questo modo siamo riusciti a raggiungere un’equità di stipendi sia per la componente di fisso sia per il variabile.
In molti casi la caduta dell’occupazione femminile si ha dopo la prima maternità. Quali sono i vostri dati a riguardo?
Al rientro dalla maternità abbiamo una retention del 90% e le donne rientrano nel ruolo precedente. La politica che applichiamo è quella di non sostituire le maternità, a meno di particolari sofferenze degli uffici. Questo permette di avere due vantaggi: la posizione rimane scoperta, l’attività viene ridistribuita come in caso di lunga malattia o di altra assenza di un collega e si sviluppa uno spirito di squadra. Inoltre la neo mamma ha la certezza di rientrare nella posizione che ha lasciato e questo la porta solitamente a non prolungare il periodo di congedo troppo a lungo.
In parlamento è in discussione la proposta di legge sullo smart working. Crede possa essere un vantaggio concreto per le aziende?
La presenza in ufficio non è più indispensabile per molte funzioni. Noi stiamo sperimentando lo smart working con uomini e donne e il tema dell’orario è diventato meno vincolante, mentre si pone l’accento sulla produttività. Lavorare sulle performance e sui risultati aumenta la responsabilità dei singoli e permette una crescita anche del rapporto di fiducia. Se ci si approfitta della situazione lo smart working è revocabile perché non è un diritto ma una conquista. Inoltre le nuove generazioni chiedono un maggior equilibrio fra lavoro e vita privata. Se iniziamo ad andare in questa direzione anticipando questo cambiamento, saremo anche in grado di attrarre talenti.
Cosa sono le baby zone?
Abbiamo delle postazioni di lavoro attrezzate per ospitare anche i figli dei dipendenti nel caso ci fosse un imprevisto.
Dopo questa intervista dovrà mantenere Zurich ad un alto standard di diversity…
Una compagnia assicurativa vende fiducia, dobbiamo essere i primi a meritarla.

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RSI e pari opportunità  Empty Rsi, diversità di genere e congedo fisico.

Messaggio  0000600947 Sab Apr 23, 2016 5:37 pm

La nostra Costituzione all'articolo 3 sancisce il principio di eguaglianza, sintetizzabile nella parità sociale di tutti i cittadini, inibendone così discriminazioni di sesso, razza, lingua, religione, politica e condizioni personali e sociali. Essa si raccorda ideologicamente con l'articolo 1 della CEDU, ed hanno come obiettivo comune quello di ancorare una effettiva tutela del pari trattamento.
Eguaglianza quindi, comprende anche il divieto di discriminazione, oltre al dovere di imparzialità, alla luce del canone di razionalità.
In questo senso però, perché un'impresa possa essere definita "socialmente responsabile", non è sufficiente che si limiti al rigoroso rispetto dei divieti di discriminazione: piuttosto attraverso le "azioni positive" fornite dal diritto del lavoro, l'imprenditore è libero di adottare volontariamente misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato oppure diretti ad evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali.
Purtroppo però l'imprenditore è il più delle volte portato ad analizzare il lavoratore sotto l'aspetto rilevante ai fini della previsione della sua produttività futura o del suo costo futuro per l'azienda ed in questo senso, la scelta razionale ricadrà il più delle volte su una scelta maschile.
Questa posizione è legata non solo alla primordiale differenza tra i generi connessa alla maternità, ma anche alla figura della donna nella nostra società che la vede ancora come l'essenziale realizzatrice della "funzione familiare" (art. 37 Cost.), che la porta ad usufruire quasi in via esclusiva dei congedi parentali e che comportano quindi un maggior indice statistico di assenteismo sul lavoro da parte delle donne.
La differenza tra i generi è un dato di fatto ma come riuscire a raggiungere la parità e l'uguaglianza di tutela?
Una recente notizia di cronaca ha reso noto ai contribuenti della scelta aziendale promossa da un'azienda britannica di Bristol di riconoscere alle proprie lavoratrici la possibilità di lavorare da casa durante i giorni del ciclo senza dover richiedere giorni di malattia per un fattore nature che ha cadenza mensile. Così l’azienda inglese ha deciso di concedere alle dipendenti un congedo a cadenza mensile che garantisca alle donne di poter restare a casa nei giorni in cui i dolori mestruali sono più forti. Alla "Coexist" hanno quindi introdotto nel proprio codice di condotta la possibilità di "congedo mestruale" e hanno addirittura valutato che appena finito il ciclo le donne sono tre volte più produttive del solito.
Questa notizia però non rappresenta una novità assoluta in quanto grandi colossi come l'azienda Nike avevano già introdotto il congedo già dal 2007 per non parlare dei paesi asiatici in cui il congedo risale al secondo dopo guerra, in particolare a partire dal Giappone in cui alcune aziende hanno adottato il “seirikyuuka”, cioè il congedo, addirittura nel 1947, per poi essere stato ammesso anche in Indonesia, sud Corea e Taiwan.
Questa posizione permette di riconoscere un'esigenza fisica legata al genere senza creare per questo un svantaggio ma anzi, tutelando adeguatamente il trattamento rispetto alla diversità.
Contestualmente a queste posizioni, sarebbe opportuno auspicare un'incetivazione dell'uso dei congedi parentali da parte dei padri oltre ad una flessibilizzazione generalizzata dei tempi di lavoro.


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