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Il bene della società è il bene dell'impresa?

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Messaggio  0000725088 Mar Apr 05, 2016 10:06 am

Muhammad Yunus, economista e banchiere bengalese, nonchè Premio Nobel per la Pace 2006, nel suo libro "Un mondo senza povertà" del 2008 tratta il rapporto tra il bene (o interessi) dell'impresa con quello della società.
Lo studioso afferma che le imprese sono pronte a condividere i temi della responsabilità sociale fino a quando questi non collidano con gli interessi tipicamente imprenditoriali, come la massimizzazione del profitto. Cosa accade quando gli interessi non coincidono? Per l'autore bisogna osservare l'esperienza, la quale ci insegna che è interesse delle aziende assecondare gli azionisti, i quali se vedessero l'impresa interessarsi più al benessere sociale che ai loro finanziatori, avrebbero da commentare in merito una forma di irresponsabilità finanziaria.
Nel continuare la sua trattazione egli pone il caso dei Suv, vetture molto inquinanti prodotte massicciamente dalle case automobilistiche americane. Essi sono altamente inquinanti, ma allo stesso tempo sono molto richiesti, di conseguenza continuano a essere prodotti e acquistati, dunque anche a generare profitto.
Questo esempio mette in luce un tema legato alla RSI, cioè che per loro natura le società per azioni non sono nate per misurarsi con i problemi sociali. Ciò non perchè, come continua il Premio Nobel, l'imprenditore sia avido o egoista, ma poichè è nella natura del mondo capitalista di cui l'impresa è una delle fondamenta l'orientamento al massimo profitto.
La società capitalista è pronta a farsi carico della responsabilità sociale? Può quest'ultima apportare un cambiamento nell' homo oeconomicus, per arrivare a una forma di "capitalismo illuminato"?

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Messaggio  0000723023 Mar Apr 05, 2016 2:37 pm

Tentare di far combaciare o, meglio, convivere insieme l'idea del massimo profitto da un lato, con la grande attenzione ai problemi "esterni" (sociali ed ambientali), inerenti alla CSR, può sembrare - mi venga perdonato il gioco di parole - un'impresa per le imprese! Può, infatti, apparire quasi un ossimoro che un imprenditore, di sua spontanea volontà, sin dall'inizio, preferisca agire "contro profitto", ovvero prediliga il porre in essere determinate azioni e/o il prendere determinate decisioni (favorevoli, dunque, a politiche di CSR) che ad altro risultato non porterebbero se non a quello di ottenere una diminuzione del profitto stesso, linfa vitale e vero scopo ultimo dell'impresa e dell'imprenditore.
In tal maniera, sarebbe possibile affermare che il tema della responsabilità sociale spesso, anche storicamente, sia stato guardato con sospetto non solamente da critici progressisti, per i quali le imprese spesso palesano una mera adesione di facciata alle politiche di CSR, al solo fine di rendersi più attrattive agli occhi dei consumatori; ma anche, tra l'altro, da critici di matrice liberale, tra i quali si deve, peraltro, senza dubbio citare Milton Friedman, per il quale l'impresa altro non dovrebbe pensare se non, appunto, a fare profitti.
Tuttavia, i motivi per i quali le imprese preferiscano non accettare (subito, perlomeno,) di aderire a politiche di CSR certamente esistono, e potrebbero risaltare abbastanza presto anche dopo una rapida lettura della società odierna. Uno tra questi potrebbe essere proprio la crisi depressiva degli ultimi anni (non soltanto italiana ma, in generale, mondiale). Magari, proprio per tale motivo gli imprenditori di oggi preferiscono agire con l'intento ultimo di fare il possibile per ottenere quanto più profitti riescano. Per "rimanere a galla", insomma.
La domanda, allora, sorgerebbe spontanea: perché non trovare una sorta di "compromesso" tra i diversi problemi?
Ciò che gli imprenditori dovrebbero capire dovrebbe, forse, essere che una loro adesione a politiche simili deve, presto o tardi, esserci. Il tutto, magari, dopo, appunto, esser giunti "a galla". La società capitalista potrebbe farsi carico della responsabilità sociale. Eppure, secondo il mio punto di vista, una soluzione simile risulterebbe comunque di difficile applicazione.

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Messaggio  0000723134 Lun Apr 11, 2016 2:42 pm

il problema del rapporto tra massimizzazione del profitto e politiche di CSR è inevitabile e si pone nel momento stesso in cui si assume che da un lato la responsabilità sociale abbia come presupposto la volontarietà e dall'altro la massimizzazione dei profitti, o in periodo di crisi l'avere profitti e basta, delle imprese che costituisce l'aspirazione di tutti i concorrenti in ogni tipo di mercato.

Si tratta tuttavia di un discorso più sociologico che giuridico poichè volto alla creazione di teorie e meccanismi sulla cui base un imprenditore sia portato ad agire in modo sociale volontariamente in quanto ciò produca conseguenze positive in termini di produttività e guadagno. [ personalmente ritengo quanto meno improbabile che delle imprese da un giorno all'altro decidano spontaneamente di operare in un'ottica completamente sociale senza avere alcun tipo di tornaconto]

Un'analisi di questo tipo può essere riscontrata per esempio nella prospettiva teorica neo classica, la quale si basa appunto sulla determinazione utilitaristica della funzione sociale di impresa facendone derivare che esiste una “responsabilità istituzionale” dell’impresa che consiste nel perseguimento del profitto coesistente con la “responsabilità sociale” che si identifica con i comportamenti finalizzati al convolgimento attivo degli stakeholder come conseguenza dell’autointeresse della stessa impresa.

In questo senso la responsabilità sociale andrebbe a costituire lo strumento stesso della competizione tra imprese sul mercato.

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Messaggio  0000624438 Lun Apr 11, 2016 5:00 pm

Sono pienamente d'accordo con le osservazioni dei colleghi! Di base, magari sbagliandomi, sono abbastanza convinta che le aziende non facciano abbastanza; temo che gli imprenditore siano troppo attenti (forse in modo sbagliato forse correttamente) alle logiche imprenditoriali piuttosto che alla tutela del lavoratore e dell'ecosistema. Certo parlare da "non imprenditore" è facile! Nel Libro Verde della Commissione Europea, edito nel 2001, la responsabilità sociale è definita come: "L'integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate". L'osservazione che mi viene da aggiungere - auspicando che i colleghi/e la intendano solo come terreno fertile per continuare questo interessante dibattito - forse non sarebbe stato meglio rendere più vincolante questo genere di preoccupazioni per il datore di lavoro? O sarebbe stato chiedere troppo?

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Messaggio  0000723023 Mar Apr 12, 2016 8:54 am

L'Unione Europea, effettivamente, ha già tentato dal canto suo una sorta di normazione sulla RSI. Mi riferisco alla Direttiva 2014/95/UE, con la quale, in buona sostanza, si richiede alle imprese di produrre "annualmente una dichiarazione sui temi ambientali, sociali e relativi all'impiego, sul rispetto dei diritti umani e sulla lotta alla corruzione. Il documento dovrà inoltre includere una descrizione delle politiche, dei risultati e dei rischi inerenti ai temi trattati. Se un’azienda non adotta tali misure dovrà spiegarne i motivi." (west-info.eu).
A tal proposito, piuttosto che aprire un'ulteriore discussione qui (ma senza alcuna volontà di chiudere qui questo interessante dibattito), rimando al Gruppo 1, più specificatamente al topic che prende il nome dalla Direttiva, all'interno del quale si è avuto (e si sta avendo) un dibattito sul tema!

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Il bene della società è il bene dell'impresa? Empty semplicemente due realtà incompatibili

Messaggio  0000725126 Mer Apr 13, 2016 2:29 pm

Da quando esite l' economia organizzata secondo un modello volto a massimizzare la produzione, da quando esiste, quindi, l' economia di massa, lo scopo degli imprenditori, e quindi delle aziende, è stato quello di massimizzare i profitti. Questo è certamente un dato di fatto, ed è stato evidenziato anche dai miei colleghi.
Voglio invece soffermarmi sul perché, a mio avviso, è impossibile che la RSI (o almeno una RSI sincera e reale) possa collidere col la massimizzazione dei profitti. La spiegazione è nella basilare (ma scaturita da ragionamenti complessi) affermazione per cui la nostra epoca è quella sottomessa al dogma dell' economia. Questa espressione ,che non è certo opera mia, ma la riporto dagli scritti di Serge Latouche (filosofo contemporaneo francese, fondatore e principale esponente della teoria di pensiero economica conosciuta come "decrescita felice"), vuole definire la nostra epoca come quelle legata alla massimizzazione dei profitti, in cui i singoli soggetti sono disposti ad un immane sacrificio di tempo per poter avere un tenore di vita sempre migliore, che deve necessariamente migliorare di anno in anno. Il dogma del denaro ha sostituito i precedenti dogmi a cui l' umanità si era assoggettata (in primis il dogma della religione in epoca medievale), e finché queste dogma avrà forza le politiche sociali non saranno mai perseguite in maniera sincere ed efficace dalle aziende se questo significa ridurre i propri profitti.

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Il bene della società è il bene dell'impresa? Empty Re: Il bene della società è il bene dell'impresa?

Messaggio  0000690197 Gio Apr 14, 2016 1:05 pm

"La regola morale fondamentale dell'impresa è produrre profitti".
A mio parere dopo aver letto il libro "Lavoro e responsabilità sociale dell'impresa" sento di discostarmi dall'affermazione sopra citata di Milton Friedman, in quanto produrre profitto è sì indice del buon andamento aziendale ma non è assolutamente l'unico criterio per valutare la salute e il benessere di un'impresa. Infatti è possibile che l'impresa abbia un ottimo profitto ma che gli uomini che vi partecipano siano umiliati e sfruttati; in più è importate sottolineare come l'impresa che mira esclusivamente al profitto ha un basso livello di sopravvivenza a lungo andare.
Dunque secondo me il profitto è sì importante ma ancora più importante è utilizzare gli strumenti di RSI per dare spazio alle esigenze del patrimonio più prezioso dell'impresa: gli uomini che lavorano al suo interno. Ormai si cerca sempre di più di adattare la cultura aziendale a quella antropologica e si inizia a entrare nell'ottica che ciò che è buono per la società è buono anche per l'impresa; un'impresa è socialmente responsabile quando si prende cura di tutti gli interessi e i bisogni dei suoi stakeholders e dunque che non miri esclusivamente al profitto fine a sé stesso.

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