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ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI

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ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI Empty ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI

Messaggio  0000723896 Sab Apr 23, 2016 4:11 pm

Adriano Olivetti, può essere ritenuto, a tutti gli effetti, un precursore della responsabilità sociale d’impresa per il modello che applicò alla propria azienda negli anni dal 1932 al 1960.
Riporto in sintesi e integrato, il contributo di Rosita Zucaro, Coordinatrice di redazione del Bollettino Equal at work, realizzato da ADAPT in collaborazione con CISL.
La “idea” di azienda di Olivetti partiva da questo interrogativo:  “Può l’impresa darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione, anche nella vita di fabbrica?”; da esso discesero i corollari del suo operato: rilevanza della gestione delle relazioni con i dipendenti, la centralità del capitale umano, la responsabilità verso la comunità ed il territorio, la considerazione dell’impresa come centro di creazione e diffusione di valore economico, ma anche sociale e culturale.
Comparvero così, in contrapposizione alle tetre fabbriche dell’epoca, gli ambienti “olivettiani” dove l’elemento costruttivo predominante era il vetro, affinché entrasse la luce, facendo sentire i lavoratori parte del paesaggio e recuperando, per tale via, il rapporto tra uomo e natura, il radicamento sul territorio di una classe operaia “strappata” dalle campagne. Adriano Olivetti costruiva fabbriche con l’obiettivo di abbellire il paesaggio, prospettiva impensabile per un’epoca che concepiva il luogo di lavoro solo in funzione della produzione.
Il benessere del lavoratore era attuato tramite innovativi modelli organizzativi alla cui realizzazione era dedicata un equipe di psicologi e ingegneri. All’Olivetti la settimana era corta ma a stipendio invariato (tra l’altro, il 20% superiore rispetto ai minimi contrattuali). C’erano biblioteche aziendali, che i dipendenti potevano frequentare anche durante l’ orario di lavoro; il cinematografo; si organizzavano festival cinematografici ed incontri letterari, nonché concerti musicali.
Olivetti manifestava, poi, particolare attenzione per la madre lavoratrice. Fu il primo in Italia
a riconoscere un congedo di 9 mesi e mezzo all’80% della retribuzione. Costruì, inoltre, asili
nido vicino alle fabbriche in modo da agevolare il rientro femminile a lavoro, ritenendolo tra l’altro
un servizio dovuto ben prima che le lotte sindacali lo rivendicassero come un diritto. La madre
aveva la possibilità di condurre il bambino al nido quando questi compiva sei mesi e mezzo e
usufruiva anche della consulenza pediatrica e, per quando cresceva, poteva portarlo alle colonie
estive aziendali. Vi era anche l’assistenza sanitaria per i casi d’infortunio e per la prevenzione delle
malattie professionali e di profilassi per le famiglie.
Altro aspetto innovativo era la presenza di assistenti sociali in fabbrica. Il servizio, seppur
collegato all’Ufficio Personale, agiva con autonomia, intervenendo sia nei casi dei singoli lavoratori
(ambientamento di nuovi assunti, difficoltà di tipo economico-sociale, disadattamento al lavoro), sia
a livello collettivo, monitorando le condizioni di lavoro e collaborando per migliorare
l’organizzazione della fabbrica.
Particolare cura era dedicata alla formazione del personale. Per rispondere alla necessità di
istruire personale specializzato, la Olivetti gestiva una scuola organizzata in vari livelli con un
Centro Formazione Meccanici, un corso per disegnatori, corsi serali, un Istituto Tecnico che era
aperta tramite selezione a tutta la popolazione del territorio e, inoltre, erano previste borse di studio
per i dipendenti.
C’erano poi i servizi di mensa, di trasporto e abitativi (accesso alle case per dipendenti costruite
dalla Olivetti, concessione di prestiti e fidejussioni bancarie, consulenza tecnica e architettonica
gratuita, ecc). I servizi sociali della Olivetti non miravano a sostituirsi al sistema pubblico, ma ne
colmavano le carenze o anticipavano i tempi con un sistema di welfare aziendale all’avanguardia,
adattato alle peculiarità di quello specifico contesto. Si differenziavano, inoltre, da analoghe
esperienze di grandi industrie italiane non solo per la vastità (coprivano tutto l’arco della vita del
dipendente e dei suoi familiari), ma soprattutto per la qualità, l’indipendenza di gestione
dall’azienda e l’apertura verso la comunità locale e si affermavano non come una “concessione del
padrone”, ma come un diritto del lavoratore, rientrando in una visione tipica di responsabilità
sociale d’impresa.
Anche la selezione del personale avveniva in modo inusuale. Il metodo non era quello classico
del colloquio, valutazione del curriculum vitae e delle varie qualifiche, ma Olivetti stesso sceglieva
i candidati attraverso la loro firma e da come si muovevano nello spazio, valutandone la personalità
attraverso la grafologia e il portamento. Una selezione particolare che l’ha condotto a convogliare
nella sua azienda, senza dubbio, le migliori intelligenze dell’epoca.
Altro aspetto essenziale del “credo” di Adriano Olivetti era il coinvolgimento dei lavoratori
nelle problematiche e nelle decisioni che riguardavano l’azienda attraverso la diffusione
dell’informazione all’interno della stessa con bollettini e notiziari o per il tramite delle relazioni
informali tra le risorse umane, che venivano favorite dall’ambiente di lavoro (gli spazi aperti) e da
momenti di interazione (le iniziative ricreative e culturali a cui partecipava il personale).
Ulteriore fronte su cui veniva scardinata la tradizione erano le relazioni industriali, la cui
struttura improntata sulla conflittualità, era superata da una concezione dialogica delle stesse.
Ad esempio in un momento di crisi di sovrapproduzione, la soluzione “olivettiana” fu,
contrapponendosi a quanto di fatto fecero la maggior parte delle imprese dell’epoca, non solo di non
procedere al licenziamento di 500 operai, ma addirittura di assumere 700 impiegati commerciali, in
virtù della convinzione, poi rilevatasi corretta, che il problema non fosse il prodotto, quanto
piuttosto la capacità di collocarlo adeguatamente sul mercato.
In dodici anni, dal 1946 al 1958, la capacità produttiva dell’Olivetti crebbe del 580%;
risultato che non aveva eguali non solo nel mercato italiano, ma anche estero ed esito di
impegno, motivazione e identificazione con l’azienda dei lavoratori, che si sentivano essi stessi
parte di un progetto, di essere partecipi, in prima persona, alla “vita” e al successo dell’azienda.
Il volume delle vendite, con l’apertura ai mercati esteri, aumentò del 1033% e la crescita
finanziaria andava di pari passo con quella d’immagine, in perfetta sintonia con un’ottica di
responsabilità sociale d’impresa. Infatti, ad esempio, nel 1959 la macchina da scrivere Lettera 22
divenne il primo tra i cento migliori prodotti degli ultimi cento anni.
Questa concezione d’impresa aperta e dialogante alla cultura, nelle sue manifestazioni più
avanzate, e alla società, portatrice di un’idea responsabile del suo ruolo, rimane il leit motiv
fondamentale per comprendere la lezione di Olivetti. Il progetto fondato sull’economia della
conoscenza e sul gioco di squadra, dove tutte le professionalità sono coinvolte e valorizzate in modo
paritario, sono, invece, i due aspetti portanti da ricordare ai posteri e a quanti oggi parlano di Rsi.
L’impresa è uno dei principali fattori di mutamento del tessuto sociale e, quindi, deve
contribuire alla ricerca di una migliore qualità della vita individuale e collettiva e tale filosofia,
in Olivetti, è però sempre stata tutt’uno con l’idea che un ampio sistema di assistenza sociale
contribuisca a migliorare il rendimento (ovvero la produttività) e il coinvolgimento dei lavoratori
(come, nei fatti, è accaduto). In altri termini, la creazione di un ambiente sociale positivo rafforza la
fedeltà del lavoratore e la sua disponibilità a collaborare in modo proattivo allo sviluppo
dell’impresa.
I principi etici alla base sono quelli di libertà e responsabilità, ma anche lealtà, obbedienza e
trasparenza. Quest’ultima, come accennato, era anche trasmessa dai materiali (l’uso del vetro
verso l’esterno e nella separazione degli spazi interni alla fabbrica) e dall’organizzazione dello
spazio di lavoro (spazi aperti). L’impresa, in questo modello, è “cittadina” e, non solo deve
rispettare i luoghi in cui è sita, ma deve contribuire allo sviluppo del benessere della comunità, sotto
il profilo economico e sociale (evidente il legame con i principi della corporate citizenship).
L’imprenditore deve considerare gli interessi dell’impresa, dei suoi stakeholder interni ed esterni,
della comunità, del territorio, ancora prima che essi diventino istanze da parte dei rispettivi
portatori. Il conflitto sociale viene così ancor prima del suo insorgere.
L’approccio manageriale di Adriano Olivetti è, pertanto, un punto di riferimento rilevante
per meglio comprendere quel governo responsabile delle imprese che si va delineando come
un modello necessario per le sfide presenti e future, verso l’affermazione di un’impresa che, in
quanto realtà pluridimensionale, non può essere appiattita sull’utile economico e deve promuovere,
tra i suoi primari valori, la tutela e la valorizzazione del proprio capitale umano, ossia il fattore che
più di tutti contribuisce all’innovatività, la cui importanza, in periodi di crisi economica, è
strategica.

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Messaggio  0000644763 Mar Apr 26, 2016 7:06 pm

Un’altra pioniera italiana della responsabilità sociale d’impresa è senz’altro Luisa Spagnoli, la quale nei primi anni del ’900 in una città di provincia come Perugia, rileva una pasticceria e avvia un’azienda dolciaria. Determinata, creativa e decisamente anticonformista incontra nel suo percorso molti ostacoli, nonostante ciò riesce a dare vita a due grandi aziende, la Perugina e la Luisa Spagnoli, che hanno svolto un ruolo primario nel processo di industrializzazione dell’Umbria e dell’Italia stessa.
La Perugina nasce dall’alleanza della Spagnoli con i Buitoni, famiglia di industriali pastai. Non solo l’Azienda sopravvisse alla prima guerra mondiale, ma diede il pane alle famiglie rimaste senza uomini, tutti al fronte, contribuendo a creare una nuova classe operaia femminile in un luogo come Perugia, piuttosto chiuso. Inoltre, per le sue operaie creò un welfare aziendale all’avanguardia, quando ancora i discorsi della Responsabilità Sociale d’Impresa non erano neanche concepibili.
L’azienda tuttora si impegna per quanto riguarda la gestione dei processi produttivi nella tutela ambientale e sviluppa iniziative per favorire la riduzione dell’impatto ambientale delle proprie attività sul territorio in un’ottica di Creazione di Valore Condiviso. Nello stabilimento di San Sisto, dal 2009, è attivo un parco fotovoltaico, tra i primi di questo genere in Italia e nel mondo, sviluppato per la produzione di energia solare. Grazie all’installazione di pannelli solari e di un impianto energetico di trigenerazione per la produzione di energia elettrica, vapore, acqua calda e acqua fredda per il condizionamento, è possibile auto-produrre il 90% dell’energia elettrica necessaria allo stabilimento.
La perugina favorisce poi numerose iniziative volte a favorire il corretto equilibrio tra vita professionale e vita privata, con attenzione particolare alla famiglia. Presso lo stabilimento di San Sisto, grazie alla collaborazione con partner specializzati, è nato l’asilo nido aziendale, che si caratterizza per un’alta qualità del servizio offerto ed un’ampia flessibilità di utilizzo.
L’asilo nido è fruibile anche dalla comunità locale: in particolare la struttura realizzata a Perugia, con una capienza di oltre 80 bambini, è il più grande asilo aziendale in Italia e il primo integrato aperto in Umbria ed oltre il 60% dei posti viene messo a disposizione delle famiglie del territorio.
La seconda impresa è nel settore tessile. L’azienda Luisa Spagnoli nasce nel 1928 grazie allo straordinario spirito imprenditoriale di Luisa, la quale decide di lanciarsi in una nuova impresa: l'allevamento del pollame e dei conigli d'angora. I conigli d’angora non vengono uccisi e neanche tosati, bensì pettinati per ricavare la lana da utilizzare per i filati. Luisa introdusse per prima l’utilizzo del filato d’angora per produrre capi di maglieria, ottenendo un filato sottile ed omogeneo con il quale iniziò la produzione di manufatti raffinati ed eleganti che ebbero un grande successo nel campo della moda di quel tempo; questa attività determinò lo sviluppo di una fiorente attività e la creazione di un centinaio di posti di lavoro. Il vero decollo dell'azienda inizierà circa quattro anni dopo sotto la guida del figlio Mario, il quale dotò l’azienda di una propria rete commerciale dedicata esclusivamente alla vendita dei propri prodotti. Il primo negozio Luisa Spagnoli fu aperto a Perugia nel 1940 e negli anni successivi seguirono Firenze, Roma, Venezia, Napoli e Milano, portando la presenza del marchio Luisa Spagnoli nelle principali piazze e vie delle più importanti città italiane. Negli anni ’50 nasce il progetto della Città dell’Angora, un modello di efficienza produttiva fondato sul soddisfacimento delle esigenze dei lavoratori. Da semplice luogo destinato alla produzione, l’azienda, circondata dalle abitazioni dei dipendenti, è diventata una comunità autosufficiente e organizzata, provvista di strutture ricettive come asili nido, doposcuola, chiesa, strutture sportive e ricreative. Anche se realizzato solo parzialmente il progetto contribuì a rinsaldare i legami tra azienda e dipendenti.
Luisa dunque anticipò di mezzo secolo l’evoluzione della presenza femminile nel campo del lavoro, non solo per la sua figura di imprenditrice, ma anche per l’inserimento della donna nell'attività industriale.

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Messaggio  0000588170 Mer Apr 27, 2016 4:06 pm

Si può parlare ad oggi della Olivetti come la grande azienda "profeta" della RSI ?
Sicuramente dopo l'opera di Adriano Olivetti l'azienda si è vista protagonista di un triste declino, tanto da definirlo "olivetticidio".
La dialettica mezzi-fini auspicata da Adriano Olivetti e messa brillantemente in atto viene rovesciata dai successori ed i mezzi diventano essi stessi i fini. Una delle più affascinanti avventure imprenditoriali italiane è finita, la società finisce per essere controllata da diverse personalità e non sembra capace di mettere a frutto quella straordinaria politica che aveva fatto grande quel marchio.
Di chi è la colpa? O meglio esistono colpe ? Un'azienda che si voglia impegnare socialmente lo può fare solo in periodi di benessere ? In periodi di crisi gli investimenti sociali sono i primi ad essere sacrificati o possono essere divenire veramente i capisaldi inviolabili di una politica aziendale?

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Messaggio  0000725533 Lun Mag 02, 2016 5:55 pm

Quando si parla di Adriano Olivetti, è difficile non rimanerne ammirati per non dire umiliati. Stiamo parlando di un mostro sacro della nostra imprenditoria, anzi, (ma che dico?!) della società italiana in genere. Ancora oggi, all'estero invidiano il genio e l'estro dell'imprenditore piemontese, mentre in Italia, in un periodo di crisi economica come quello attuale, soffriamo di nostalgia pregressa dello stesso Olivetti. Ma cosa ci ha insegnato l'esperienza del più grande imprenditore italiano? Sicuramente, tutto quello riportato nell'articolo illustra un modello di azienda che può diventare un modello di Stato. Ma non basta! Elencare cosa Adriano Olivetti ha apportato al sistema imprenditoriale italiano, appare riduttivo se non confrontato con la società in genere e con la vita stessa dei suoi dipendenti. E' riuscito laddove i più grandi fautori del capitalismo o dei movimenti operai hanno fallito: adottare un modello di gestione aziendale utopistico, all'epoca come oggi! Inoltre, mi piace pensare che il dott. Olivetti abbia attuato quelle disposizioni costituzionali che tanto maltrattate sono state negli anni; ha fornito una visione del fine ultimo di ogni attività economico-produttiva; ha perseguito in toto quella funzione sociale, richiesta dalla nostra Costituzione, in simbiosi con la libertà d'iniziativa economica, sempre tutelata dalla stessa. Quindi, premesse fatte, voglio affermare che sì, Adriano Olivetti è il padre di un'impresa secondo i canoni della RSI, e che sì, come riportato a fine articolo, "la valorizzazione del capitale umano è strategica in periodi di crisi". Per concludere, penso che l'insegnamento di fondo lasciatoci dal Dott. Olivetti, è che l'idea di una comunità in grado di superare i contrasti tautologici e populisti tra produzione e cultura, è sì credibile, ma sopratutto realizzabile.

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ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI Empty Re: ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI

Messaggio  0000723896 Gio Mag 05, 2016 3:37 pm

0000588170 ha scritto:Si può parlare ad oggi della Olivetti come la grande azienda "profeta" della RSI ?
Sicuramente dopo l'opera di Adriano Olivetti l'azienda si è vista protagonista di un triste declino, tanto da definirlo "olivetticidio".
La dialettica mezzi-fini auspicata da Adriano Olivetti e messa brillantemente in atto viene rovesciata dai successori ed i mezzi diventano essi stessi i fini. Una delle più affascinanti avventure imprenditoriali italiane è finita, la società finisce per essere controllata da diverse personalità e non sembra capace di mettere a frutto quella straordinaria politica che aveva fatto grande quel marchio.
Di chi è la colpa? O meglio esistono colpe ? Un'azienda che si voglia impegnare socialmente lo può fare solo in periodi di benessere ? In periodi di crisi gli investimenti sociali sono i primi ad essere sacrificati o possono essere divenire veramente i capisaldi inviolabili di una politica aziendale?

Non mi sento in grado di rispondere alle prime due domande poste dal collega: la vicenda Olivetti è certamente molto complessa, e ricercare le colpe/ cause del fallimento di questa fantastica e ormai passata realtà risulta, ad oggi, davvero complicato e si rischia di dare una versione solamente parziale. Tuttavia mi sono interrogato sulle altre due domande: "un'azienda che si voglia impegnare socialmente lo può fare solo in periodi di benessere ? In periodi di crisi gli investimenti sociali sono i primi ad essere sacrificati o possono essere divenire veramente i capisaldi inviolabili di una politica aziendale?".
Personalmente non credo che un'impresa per impegnarsi socialmente debba per forza vivere in un periodo economico ottimale. Ci siamo talmente abituati a pensare che l'unica economia possibile sia quella capitalista drogata dal consumismo, che non ci sembra possibile pensare a qualcosa che parte da premesse in qualche parte simili, ma giunge a conclusioni completamente diverse: sto parlando proprio della Responsabilità sociale delle imprese. La Responsabilità Sociale, è stato dimostrato, è un importante strumento di governo dell’Impresa, che migliora performance finanziarie, processi di coesione interna, gestione operativa. Per il marketing è una nuova via al posizionamento dei prodotti e del marchio. Ma non dimentichiamoci della cosa forse più importante: per i cittadini e i consumatori la Responsabilità Sociale d’Impresa è valore. Quindi la Rsi non è solamente un costo per l'impresa ma è forse, prima di tutto, un modo di intendere l'impresa stessa. Se un imprenditore abbraccia questa idea di impresa, lo dovrebbe fare indipendentemente dal costo economico che ciò potrebbe portare "alle proprie tasche", perché è consapevole che attuare questi comportamenti, alla lunga, premia sempre. Certamente i lavoratori che hanno giovato della direzione Olivetti saranno stati consumatori critici.
La trasformazione del consumatore da ricettore passivo a soggetto attivo, cioè a consumatore critico, che con le sue scelte intende contribuire a “costruire” l’offerta è il primo incentivo alla creazione di nuove RSI. Il cittadino-consumatore che “vuole sapere come quel certo bene è stato prodotto e se nel corso della sua produzione l’impresa ha violato, in tutto o in parte i diritti fondamentali della persona che lavora” si traduce in un nuovo atteggiamento e diversi tipi di comportamento:
a. La penalizzazione di imprese che hanno operato evidenti violazione di diritti umani fondamentali (p.es. Nike, Reebok, Nestlè, ecc.);
b. La crescente disponibilità a favorire, anche attraverso la scelta di prodotti con prezzi maggiorati, imprese impegnate nel sociale.
Questo per sottolineare che non è indispensabile un buon portafoglio per attuare comportamenti socialmente responsabili, ma sono i comportamenti di ciascun cittadino che contribuiscono in primis allo sviluppo e al proliferare stesso delle imprese responsabili socialmente, e, perché no, a un diverso modo di concepire l'economia.

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ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI Empty Re: ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI

Messaggio  0000728623 Ven Mag 06, 2016 9:56 am

0000588170 ha scritto:Si può parlare ad oggi della Olivetti come la grande azienda "profeta" della RSI ?
Sicuramente dopo l'opera di Adriano Olivetti l'azienda si è vista protagonista di un triste declino, tanto da definirlo "olivetticidio".
La dialettica mezzi-fini auspicata da Adriano Olivetti e messa brillantemente in atto viene rovesciata dai successori ed i mezzi diventano essi stessi i fini. Una delle più affascinanti avventure imprenditoriali italiane è finita, la società finisce per essere controllata da diverse personalità e non sembra capace di mettere a frutto quella straordinaria politica che aveva fatto grande quel marchio.
Di chi è la colpa? O meglio esistono colpe ? Un'azienda che si voglia impegnare socialmente lo può fare solo in periodi di benessere ? In periodi di crisi gli investimenti sociali sono i primi ad essere sacrificati o possono essere divenire veramente i capisaldi inviolabili di una politica aziendale?

Vorrei rispondere in merito al termine..."OLIVETTICIDIO"...perchè mi sembra azzeccato.
Se è vero che di persone come Adriano Olivetti ce ne siano state poche in quei tempi in cui si poteva parlare di pionierismo della RSI, è altrettanto vero che si sarebbe potuto continuare quella politica da parte dei successori. Invece così non è stato per colpa di molti fattori, in primis della conduzione dell'azienda negli anni successivi da parte di imprenditori senza scrupoli (non faccio nomi ma uno fra tutti che ha "rovinato" la ditta lo conosciamo...) che con l'idea sociale di Olivetti poco avevano a che fare. Ci si concentrò solamente sui profitti, come moltissime imprese fanno, e si rovinò quell'altissimo ideale sociale che tanto aveva contribuito a fidelizzare al massimo i dipendenti! E' stato un vero e proprio OLIVETTICIDIO.
Non si dimentichi, poi, che non solo c'è stata una responsabilità d'impresa elevata verso i lavoratori ma anche una politica economica verso il sud d'Italia trasferendo e creando succursali della ditta per portare lavoro e crescita nel mezzogiorno. Si badi bene, Adriano Olivetti non era un "santo benefattore" ma aveva compreso molto bene i grandi vantaggi in termini di soddisfazione economica e per la sua ditta e per i lavoratori.

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ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI Empty Re: ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI

Messaggio  724326 Gio Mag 12, 2016 2:47 pm

E' vero, poche imprese contemporanee possono reggere il confronto sul piano della responsabilità con l'Olivetti di allora. Come attestano da un lato, le dolenti cronache quotidiane dell'economia e del lavoro; dall'altro, numerosi procesi penali, dalla Parmalat alla Eternit. Allorchè capita di proporre un simile confronto, ci si espone all'obiezione che è divenuto impossiblie per le imprese, nel mondo della globalizzazione, operare come faceva Olivetti più di mezzo secolo fa. Tuttavia alla base della RSI che quell'impresa esercitava vi erano varie componenti : una superiore capacità di innovazione, sia di prodotto che di processo, un'etica compatibile con successo e progresso per l'impresa, una organizzazione del lavoro eccezionalmente efficente (come dettagliatamente spiegato nel topic ) e una robusta macchina commerciale per distribuire i suoi prodotto. Nessuna di queste caratteristiche oggi è obsoleta, nel mondo globalizzato tutte sono più attuali che mai, a condizione però di saperle riprodurre, questo è il problema! Adriano Olivetti è stato in grado di rispettare il codice etico più che mai (mai sparare un lavoratore! 'Restituire' al territorio ciò che avete guadagnato su di essa!).

724326

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ADRIANO OLIVETTI : precursore italiano della RSI Empty Fabianesimo

Messaggio  0000725597 Dom Mag 15, 2016 3:59 pm

Cercando la parola fabianesimo sul vocabolario troviamo la seguente definizione:

Movimento politico di indirizzo socialista-riformista, sorto in Inghilterra con la fondazione (1883) della Fabian Society (la quale traeva il suo nome dal generale romano Q. Fabio Massimo il Temporeggiatore, alla cui strategia di paziente attesa intendeva ispirarsi), e oggi praticamente assorbito dal partito laburista: si proponeva di raggiungere i suoi fini politici e sociali con una lenta e tenace opera di propaganda e di educazione delle masse, evitando i rivolgimenti violenti. (Treccani)

Nel 1947 Adriano Olivetti fondò il Movimento comunità. Nato inizialmente come associazione culturale ben presto si trasformò in un partito politico ispirato al fabianesimo di matrice socialista e liberaldemocratica.
L'idea era quella di elevare le classi lavoratrici "per renderle idonee ad assumere il controllo dei mezzi di produzione" (Wikipedia). Fra i suoi punti programmatici vi erano condizioni di lavoro flessibili, sicurezza sul posto di lavoro, retribuzioni adeguate oltre a cure sanitarie, istruzione e formazione gratuite per i lavoratori. Si contraddistinse dalle altre ideologie vigenti all'epoca per il pragmatismo e la tendenza al continuo sviluppo tecnico.

Olivetti nel suo disegno sociale fu uno degli esponenti più lungimiranti dell'imprenditoria aziendale italiana e ciò gli valse il riconoscimento della National Management Association di New York che nel 1957 gli conferì il premio per "l'azione di avanguardia nel campo della direzione aziendale internazionale" (Fondazione Adriano Olivetti).
Ancor oggi è ammirato da una parte consistente di giovani imprenditori ed è un esempio di come la responsabilità sociale d'impresa possa coesistere con gli obbiettivi di profitto.

Alla morte improvvisa del suo promotore il sogno del progresso sociale e umano che si realizzava gradualmente intensificando le relazioni di collaborazione fra lavoratore e datore di lavoro si andò annidando all'interno di un percorso socialdemocratico che ha posto le basi della nuova politica nazionale del centro-sinistra. Parimenti nel Regno Unito i fabianisti originari hanno in gran parte abbracciato la cosiddetta terza via al laburismo e le loro idee costituiscono oggi un punto di riferimento per tutte le forze liberali, democratiche e sociali d’Europa.

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