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Diritti ed etica in mano all'economia?

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Diritti ed etica in mano all'economia? Empty Diritti ed etica in mano all'economia?

Messaggio  0000725088 Lun Apr 04, 2016 8:33 am

Vi è chi sostiene che oggi i diritti e l'etica marcino assieme all'economia, insieme dunque al mercato globale.
Che ruolo ha oggi la responsabilità sociale dell'impresa per imprese multinazionali con una forte delocalizzazione e un uso frequente dell'appalto di lavoro?
Due esperienze a confronto: caso Reebok e Nike. La prima ha provocato una forte disoccupazione di massa cancellando dalla lista dei propri fornitori un'impresa thailandese, in essa i lavoratori prestavano la propria opera per 72 ore settimanali. La Nike, il 2 Maggio 2002, è stata condannata per dichiarazioni menzognere, in violazione della disciplina a tutela dei consumatori, per non aver garantito il rispetto dei diritti dei lavoratori da parte delle proprie imprese appaltatrici, come invece era riportato dal loro codice etico.
La "Labour Rights Charta" del gruppo Adidas, di cui Reebok fa parte, afferma: "The adidas Group supports the United Nations’ Universal Declaration of Human Rights.
Our company policies and procedures adhere to all applicable domestic laws and are consistent with
core labour principles of the International Labour Organization (ILO) concerning freedom of
association and collective bargaining, non-discrimination, forced labour, and underage workers in
the workplace. Promoting human rights and adhering to ILO core labour standards internally and
throughout all our business operations is in line with the Group’s values and principles. Our
commitment to foster the implementation of human rights and core labour standards is supported
through our Human Resources function, the programme for Legal Compliance and Social &
Environmental Affairs. It is in effect in all adidas Group locations and it applies to the Group’s
business operations worldwide.
We will use this position as a framework to guide our decision-making and constructive engagement
within our sphere of influence, while the responsibility of the governments of the various countries
for protection of human rights and core labour standards is respected. "
Il Gruppo Adidas dunque sostiene di supportare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, di aderire ai
principi fondamentali del lavoro dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) in materia di libera
associazione e contrattazione collettiva, non discriminazione, di eliminazione di qualsiasi forma di lavoro forzato. Viene affermato che il loro impegno è, inoltre, quello di favorire l'attuazione dei diritti umani e delle norme fondamentali del lavoro, supportato attraverso la funzione Risorse Umane, il programma per la conformità legale e sociale & Affari ambientali.
Possono tali linee guida essere anche uno sprono per accrescere una maggiore sensibilità da parte degli stakeholders? Possono tali politiche incentivare un ricorso sempre maggiore alla responsabilità sociale?
Inoltre, in questi casi, la RSI è davvero effettiva o un mero strumento di marketing con l'intento di guadagnare in reputazione e non puntando realmente sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori?

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Diritti ed etica in mano all'economia? Empty L'irresponsabilità non conviene

Messaggio  0000724171 Lun Apr 04, 2016 9:26 am

Il caso Nike ebbe inizio quando alcune associazioni di consumatori avevano denunciato il caso del lavoro minorile mal pagato in India e Pakistan.
Da lì il titolo Nike precipitò dai circa 66 dollari dell’agosto 1997 ai 39 dollari del gennaio 1998, e ciò in conseguenza di una ben orchestrata campagna di boicottaggio. Questo significa che il consumatore non è più solo un mero ricettore passivo delle proposte della produzione, ma è un soggetto critico che con le sue decisioni e i suoi comportamenti contribuisce a creare l'offerta dei beni e servizi che vengono domandati dal mercato.
Non gli basta più il celebrato rapporto qualità-prezzo; vuole sapere come quel certo bene è stato prodotto e se nel corso della sua produzione l’impresa ha violato, poniamo, i diritti fondamentali della persona che lavora oppure ha inquinato l’ambiente in modo inaccettabile, e così via.
Ma v’è di più. Recenti indagini di mercato hanno evidenziato come l’80% dei consumatori europei si dichiari propenso a favorire lo sviluppo di imprese impegnate, in qualche modo e in qualche misura, nel sociale. E il 72% dei consumatori italiani intervistati ha dichiarato che sarebbero propensi a pagare un prezzo più elevato per i beni che acquistano se avessero certezza (e garanzie) che le imprese in gioco si sottopongono alla certificazione sociale (del tipo Social accountability, SA 8000) oppure si impegnano in iniziative socialmente rilevanti.
Allora Mill, uno dei massimi esponenti del pensiero liberale, ci aveva preso parlando del principio di sovranità del consumatore, tale per cui questi è libero di orientare, secondo il suo sistema di valori, i soggetti di offerta sia sui modi di realizzare i processi produttivi sia sulla composizione dell’insieme di beni da produrre.
Penso che qui il marketing giochi un ruolo fondamentale: all'impresa economicamente parlando non conviene essere socialmente irresponsabile. Il caso Nike ne è l'esempio. Per l'impresa è più vantaggioso rispettare tutti i diritti del lavoratore e tutte le garanzie per raggiungere un processo produttivo rispettoso dell'ambiente, della comunità e dei dipendenti.
Alla fine sarebbe impossibile e poco utile investigare sulla vera ragione per cui un impresa adotta politiche di RSI, se per migliorare la sua immagine, se per una reale coscienza etica, o entrambe, se alla fine il risultato è il reale miglioramento delle condizioni dei lavoratori, l'effettivo rispetto di tutte le garanzie prescritte nei vari Codici Etici e nelle varie Certificazioni.

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Diritti ed etica in mano all'economia? Empty Effettività delle garanzie ( Re: L'IRRESPONSABILITÀ NON CONVIENE)

Messaggio  0000723281 Lun Apr 04, 2016 10:46 am

Letta la risposta a tale argomento, non ho potuto fare a meno di notare l'alto grado di ottimismo che essa contiene. Credo sia vero che molti individui, cito sopra, 72% dei consumatori italiani e 80%, diano importanza alla provenienza, al modo in cui è prodotto un certo bene e l'impegno sociale dell'azienda produttrice ( quindi, principalmente, il rispetto dei lavoratori, dei loro diritti e delle norme ambientali). Nonostante ciò, non si può pensare che tali fattori giustifichino un aumento del prezzo del bene in questione: in primis, perché non sarà mai certo al 100% che le aziende rispettino, sempre, gli standard sociali promessi e dichiarati. Dobbiamo anzitutto ricordarci che stiamo parlando dell'ambito delle grandi multinazionali ( Nike e Reebok): queste possono facilmente nascondere, grazie alla forte delocalizzazione delle loro imprese, il loro operato ed eludere i controlli. Per rispondere all'intervento del/la mio/a collega, è indiscusso che l'irresponsabilità sia controproducente, ma solo quando questa viene messa alla luce del sole. Ovviamente, come si è potuto constatare dal caso Nike, i consumatori, che vengono a conoscenza di eventuali violazioni di diritti o modalità di produzione non consoni agli standard sociali minimi, saranno propensi a non comprare il bene, danneggiando così l'azienda in questione. Tuttavia, è innegabile il fatto che il sotto pagamento dei lavoratori e il non fornire standard minimi di sicurezza possa essere grande fonte di lucro per le multinazionali, tanto da poter giustificare il rischio di incorrere in una sanzione o condanna. A fronte di ciò, è difficile pensare che le "garanzie", offerte dalle aziende, siano reali ed effettive. Per quanto riguarda l'impegno sociale, è necessario premettere che è un ottimo strumento di manipolazione dei consumatori: ogni individuo, sapendo che acquistando un certo bene contribuirà ad una buona causa, sarà incentivato all'acquisto. Come prima, quindi, si dovrebbe fare attenzione e verificare che l'impegno dell'azienda sia effettivo e non solo di facciata. In secundis, è giusto pensare che se un bene è prodotto secondo standard sociali minimi garantiti, allora sia dignitoso di un prezzo più elevato? Onestamente è un'affermazione che mi intimorisce un po'. Un bene non dovrebbe essere prodotto nel rispetto degli standard sociali minimi a prescindere da qualsiasi circostanza e luogo di produzione? Affermare che si è disposti a comprare un bene di produzione garantita, per me, significa che, fino ad adesso, nessuno si è mai posto il problema della provenienza e produzione dei beni.

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Diritti ed etica in mano all'economia? Empty L'ALTRA FACCIA(TA) DELLE MULTINAZIONALI

Messaggio  0000590940 Lun Apr 04, 2016 6:41 pm

Quella delle multinazionali è senza dubbio una realtà molto complessa, contro la quale rischiano di frantumarsi le aspettative di chi considera la RSI un efficace strumento, universalmente esportabile, di  emancipazione economica e sociale. I casi Reebok e Nike sollevano forti dubbi rispetto al modo con cui le multinazionali intendono la RSI: adottare codici etici e proclamare di aderire ad accordi internazionali per la tutela dei lavoratori, non significa che queste multinazionali siano disposte a rinunciare a parte dei loro profitti per farli rispettare. La tentazione di sfruttare il ritorno di immagine derivante dalla adesione formale a questi accordi, senza doversi preoccupare troppo di doverli mettere in pratica, è occasione troppo ghiotta per questi gruppi, la cui vocazione non può che essere quella di incrementare il più possibile i propri utili.  
Pensare che il sistema della RSI possa “autogestirsi” grazie all’atteggiamento responsabile di soggetti strutturalmente più deboli come i consumatori e che questi siano un valido baluardo difensivo a tutela del rispetto di tali accordi è ingenuo; come è stato ingenuo da parte di molti credere alla mano invisibile di smithiana memoria, avere cioè fiducia nella capacità delle forze interne ai mercati di autoregolamentarsi e di guidare l’umanità verso il progresso economico globale. La profonda crisi economica mondiale degli ultimi anni sancisce il fallimento di un tale modello economico di sviluppo, ma soprattutto rivela come a livello globale sviluppo economico e sociale sebbene interconnessi non sono tra loro direttamente proporzionali: il raggiungimento di specifici obiettivi economici non si traduce automaticamente in benessere collettivo, spesso interessi economici privati ed emancipazione sociale seguano percorsi diversi e non coincidenti, a volte addirittura confliggenti.
L’approccio teorico di chi sostiene la capacità di sistemi strutturalmente caratterizzati da forti disuguaglianze di raggiungere equilibri ideali non tiene conto della complessità della realtà empirica: se è stato un errore considerare il mercato globale come un’entità autonoma in grado di raggiungere un equilibrio autoregolamentandosi, allo stesso modo sarebbe un errore concepire l’impresa, posta al centro del modello RSI, come un luogo ideale e astratto dove coniugare progresso economico e sociale, un luogo dove qualcosa di simile alla  miracolosa mano invisibile dovrebbe guidare i soggetti coinvolti e far convergere i rispettivi interessi.
I casi Reebok e Nike qui proposti dimostrano il contrasto con il modello di RSI teorizzato: il fatto che grandi gruppi multinazionali sentano la necessità di adottare codici etici e di sottoscrivere accordi internazionali per la tutela dei diritti umani e dei lavoratori è un dato di per sé positivo, il segnale importante di un cambiamento culturale in atto, ma non la prova che gli obiettivi dichiarati siano perseguiti, ne tanto meno raggiunti. Non si può pensare che consumatori, associati e non, possano rappresentare un efficace contrappeso al potere economico e politico di questi gruppi multinazionali, un valido strumento di controllo e vigilanza capace di garantire il rispetto degli accordi presi e di promuovere efficacemente l’equilibrio tra logiche economiche di profitto e rispetto dei diritti. Il problema è proprio capire se strumenti di soft law, come gli accordi internazionali o i codici etici interni, a cui le imprese aderiscono volontariamente sono strumenti idonei a garantire il rispetto degli accordi raggiuti e degli impegni presi. Probabilmente per Reebok e Nike il danno d’immagine e la sanzione prevista per le dichiarazioni menzognere, non sono stati un disincentivo sufficiente, le pratiche scorrette poste in essere non sono state considerate dai manager delle stesse economicamente svantaggiose, d’altra parte loro sono imprese multinazionali, con propri obiettivi di sviluppo e profitto, garantire il rispetto dei diritti umani giova ribadirlo non è compito loro…la strada per indurre tali soggetti al rispetto degli accordi sottoscritti è duplice: si tratta di comprendere se vi è la necessità di aumentare i vincoli esterni, cioè di porre più vincoli alle imprese per obbligarle a tenere maggior conto di altri interessi oppure se ci si proponga di incidere sulla loro stessa funzione obiettivo. Se si vuole che gli interessi di RSI diventino una componente dell’interesse sociale dell’impresa, ed entrino quindi a far parte della funzione obiettivo che le imprese devono perseguire occorre incidere non solo e non tanto sulle norme, ma anche e soprattutto sul contesto di fatto in cui si trovano ad operare. Si tratta in sostanza di modificare i meccanismi esistenti, di attivare strumenti concertati di pressione ad hoc, capaci di incidere sul potere discrezionale dei manager delle imprese multinazionali. Appare evidente che solo attraverso la collaborazione di attori sociali e economici di livello internazionale, e con chiare e consapevoli scelte politiche sarà possibile raggiungere un sistema di RSI effettivo ed efficacie in cui si concretizzi l'obbligo delle imprese di rispettare le istanze sociali e quello dello Stato di proteggere le comunità umane dagli abusi del settore privato.

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Diritti ed etica in mano all'economia? Empty Re: Diritti ed etica in mano all'economia?

Messaggio  0000730354 Dom Apr 24, 2016 10:23 pm

Nel 2003 "Indian NGO Centre for Science and Environment) avviò un procedimento giudiziale contro la Coca Cola per le seguenti ragioni:
A) Presenza di pesticidi in alcuni campioni di Coca Cola venduti in India, in misura superiore agli standard europei, ma non a quelli indiani. Nonostante la pressione fatta sul Governo dalle Istituzioni, affinchè questo dotasse il paese di una legislazione più severa in materia di standard qualitativi dell'acqua, per evidenti ragioni commerciali governative, nulla fu realizzato. Medesimi test su Coca Cola furono eseguiti nuovamente tre anni dopo e mostrarono una presenza di pesticidi di 24 volte superiore agli standard europei.
B) Inquinamento dell'acqua ed estrazione eccessiva estrazione di acqua freatica: Coca Cola era accusata anche di aver causato l' esaurimento di fonti di acqua nella comunitá di Plachimada, India del Sud. Nel 2004 Coca Cola la Corte Suprema di Kerala proibì la prosecuzione delle attività di estrazione, ma successivamente, la multinazionale ottenne comunque il rinnovamento della licenza per operare nel sito di produzione, vincendo la causa a livello centrale.
Nel 2010 i danni causati da Coca Cola alla comunità di Plachimada furono stimati per 47 milioni di dollari.
A seguito di queste vicende, le vendite di Coca Cola in India subirono un vero e proprio tracollo, la causa del quale è da ricercare nella testarda ostentazione di integritá da part della multinazionale, mentre il pubblico dei consumatori lecitamente si attendeva una sana assunzione di responsabilitá.
La causa del tracollo é dunque da ricercarsi nella rottura dell'affidamento dei consumatori nell'impresa, a fronte delle menzionate vicende.
Successivamente ciò portò ad un'inversione di tendenza e ad una presa di posizione da parte dei vertici della societá: dirá Je Seabright, vicepresidente della sezione Ambiente e risorse idriche di Coca Cola, che ‘(...) having goodwill in the community is an important thing’.
Da qesto mimento si assistette ad una progressiva apoteosi della responsabilizzazione sociale di Coca Cola o, quanto meno, ad una continua esternazione della presunta sussistenza di pratiche di CSR: continui reportage sulle politiche attive di Coca Cola con riguardo ai problemi idrici indiani, sino al lancio di alcune iniziative di progetti in tal senso costruttivi.
Da tale enorme controversia, a detta dei più, Coca Cola ha assunto una posizione di assoluto rilievo nella responsabilizzazione a livello mondiale in merito a politiche idriche.

Tutto questl per cosa? Per offrire una linea prospettica riguardo alla domanda in principio ("Inoltre, in questi casi, la RSI è davvero effettiva o un mero strumento di marketing con l'intento di guadagnare in reputazione e non puntando realmente sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori?").
Io reputo che sia sostanzialmente impossibile decretare se la CSR nel caso concreto derivi da convinzione o mero interesse economico: reputo tali dinamiche imperscrutabil dall'esterno sia per la tendenza all'occultamento che molto spesso caratterizza le multinazionali, sia per l'oggettiva impossibilitá di ricondurre tali elementi ad una volontá definita e definitiva (parlando di una societá e non di un singolo), ma solo ad un'attestazione di posizione da parte di una lersona giuridca.
Reputo che tutte queste difficoltá intepretative suggeriscano un approccio molto diverso e tendente all'utilitarismo: come dimostrato nel caso Coca Cola dinamiche di marketing, lucrativitá e RSI risultano inscindibili, non analizzabili separatamente. Ciò che in ultima analisi conta, nella mia modesta opinione, è che societá dalla forza ed impatto devastante nelle logiche mondiali quale Coca Cola, Nike, Adidas etc, siano, non siano statiche ed impassibili a livello sociale.

0000730354

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