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convinzione di valori o mero interesse?

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Messaggio  0000687434 Dom Apr 03, 2016 12:55 pm

Un altro esempio di impresa che adotta comportamenti di responsabilità sociale, oltre alle già citate Ferrari e Granarolo s.p.a, può essere l'azienda Foppa Pedretti che si occupa della produzione e della successiva commercializzazione di mobili di varia tipologia e impiego. Anche in questo caso l'azienda investe e punta molto sulla ricerca e sullo sviluppo, per cercare di garantire oltre alla qualità del prodotto anche una sicurezza sia a livello produttivo sia in fase di utilizzo finale del prodotto. Vi è un continuo impegno per creare, ideare e progettare nuovi prodotti, utilizzando materiali diversi (es. vernici atossiche), per cercare di proporre sul mercato oggetti innovativi.
Le politiche aziendali sono caratterizzate dall'impegno ecologico e dal risparmio energetico (viene utilizzato il legno derivante dagli scarti della lavorazione ad esempio come combustibile per il riscaldamento degli stabilimenti) e si è investito molto sull'adozione di moderne e avanzate attrezzature (ad esempio l'aria viene continuamente aspirata, filtrata e rimessa nuovamente in circolo).
Questa forte sensibilizzazione ha portato anche all'adozione di una politica di selezione dei
fornitori, basata sul rispetto dell'ambiente (contribuiscono concretamente al ripristino ed alla salvaguardia delle risorse naturali; hanno messo in atto un progetto di riforestazione in Amazzonia brasiliana).
Si può ben comprendere dunque che l'obiettivo dell'impresa non è solo quello di raggiungere grandi compensi economici, ma vi è un elevato impegno a rispettare, interiorizzare e far propri
valori molto forti, riguardanti il rispetto dell'ambiente.

Come possiamo constatare molte imprese medio-piccole in Italia puntano sull'elemento della rsi,
dunque sul rispetto e l'attenzione dell'ambiente, delle persone sullo sviluppo sociale ecc..
il problema è comprendere: chi spinge le aziende ad adottare comportamenti di questo tipo (?),
non sono sicuramente le pubbliche amministrazioni, ma piuttosto l'opinione pubblica e il settore terziario; tutto ciò viene fatto dalle aziende perché credono fortemente in questi valori o solamente per tentare di ottenere norme che possano premiare le imprese che esercitano una seria responsabilità d'impresa (?), per cercare di ottenere riconoscimenti, sgravi fiscali o certificazioni.
(tutto questo è solo apparenza, una maschera per attirare la clientela e dunque raggiungere il fine che compariva posto in secondo piano, cioè il raggiungimento di un elevato compenso?)

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convinzione di valori o mero interesse? Empty Convinzione e condivisione dei valori.

Messaggio  0000660780 Dom Apr 03, 2016 9:20 pm

Io credo fermamente che un elemento importante nello sviluppo e nella diffusione dell'utilizzo della RSI sia e debba essere l'opinione pubblica o nel caso di specie i consumatori. A tal proposito non è secondo me necessario interrogarsi sul perché alcune aziende adottino comportamenti socialmente responsabili, l'importante è che lo facciano a mio avviso e se spinti dalla domanda dei consumatori, che ben venga. Se gli sgravi fiscali occorrono a diffondere il modello sociale di impresa che ben vengano, ne beneficeranno la società, l'ambiente e l'impresa stessa. Che un'azienda voglia guadagnare compensi molto alti nei suoi obiettivi primari è lecito, purché lo faccia contribuendo alla costruzione di una società in cui l'attenzione al lavoro e all'ambiente siano massimi per un benessere generale.

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Messaggio  0000723313 Lun Apr 04, 2016 6:25 am

Personalmente fatico ad essere troppo distante da coloro i quali, guardando al fenomeno della CSR, intravedono una qualsivoglia forma (anche soltanto parziale) di opportunismo e/o di strumentalismo. Al di là di ogni discussione possibile, se si volge lo sguardo alla nuda e cruda realtà, al "mondo fisico" (se così vogliamo dire), penso che ancora oggi sia parecchio difficile negare che il fine principe dell'attività d'impresa continui (sempre e comunque) ad essere la massimizzazione del profitto, così come reputo altrettanto difficile negare che le conseguenze della CSR (basti pensare alla maggior attenzione del mercato) possono giocare un ruolo funzionale al fine poc'anzi detto. In ogni caso, comunque stiano le cose, certo è che quel che davvero importa sono i fatti, più che gli intenti. Qualora il fenomeno della CSR si rivelasse realmente in grado di originare delle imprese socialmente ed ecologicamente responsabili SENZA ledere (subdolamente) quanto il Diritto del Lavoro ha faticosamente costruito e conquistato attraverso le epoche, non vedrei nulla di particolarmente abominevole nel fatto che le stesse imprese, nell'attuazione delle politiche di CSR, vedano, piuttosto che un'illuminazione scesa dal cielo, una sorta di "do ut des": all'ambiente e alla società un prezioso contributo e a loro la benedizione dei mercati.

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Messaggio  0000724755 Lun Apr 04, 2016 6:45 am

In linea generale, concordo sulla considerazione per cui se non c’è una spinta da parte dell’opinione pubblica o del settore terziario è difficile che si sviluppi una cultura di responsabilità sociale, ma mi sembra opportuno aggiungere che se ci si limita a questi soli stimoli, è facile dare vita a mere operazioni di restyling aziendale, a strategie per massimizzare il profitto che non hanno alcuna intenzione di interiorizzare realmente le preoccupazioni socio-ambientali, nonostante le dichiarazioni che vengono sempre più spesso fatte in tal senso. Ci tengo a precisare che non stigmatizzo l’utilizzo di prassi socialmente responsabili se utili anche ad aumentare i profitti di un’azienda, ma se funzionali solo a questo.
Si può forse ipotizzare che se venissero realizzati interventi di sistema indirizzati a favorire uno sviluppo sostenibile in un’ottica di CSR, in un contesto come quello italiano (con un’altissima presenza di PMI!) sarebbe maggiore il sentimento di coinvolgimento che non in un contesto diverso, a prevalenza di imprese di grandi dimensioni, magari multinazionali, che sono fisiologicamente più attente alla massimizzazione dei propri profitti che non a uno sviluppo della società e dell'ambiente a loro circostanti, perché sono più allentati i rapporti che queste intrattengono con i loro stakeholder (con il rischio che in sedi distaccate in Paesi emergenti o in via di sviluppo sia vista come un'opportunità per eludere normative più stringenti, di hard law, di tutela e sicurezza del lavoro e dell'ambiente).
Tutto ciò, sia ben chiaro, anche se ci sono importanti eccezioni, come si diceva in un'altra discussione, per cui alcune grandi imprese si dimostrano capaci di attuare una "actual CSR". Una su tutte il progetto Formula Uomo della Ferrari, anche se si potrebbe obiettare che anche in questo caso viene a rilevare lo stretto legame tra l'impresa e il suo territorio di riferimento.
Per rimanere in tema di responsabilità sociale e PMI facendo un esempio concreto, mi pare significativo citare l’impegno della Regione Toscana con Fabrica Ethica: questo è un progetto partito nel 2002, di risposta alla domanda di etica pubblica che veniva dalla società civile (e questo confermerebbe quanto sostenuto nel primo post della discussione, ossia che la spinta è più frequente provenga dall’opinione pubblica stessa), da un tessuto imprenditoriale quasi totalmente costituito da PMI; la visione portata avanti a livello regionale presenta come punti cardine la rilevanza data all’inclusione sociale e al dialogo.
Attraverso la l.r. 17/2006 è stato sancito un impegno attivo della Regione a incoraggiare le imprese che decidano di investire nella sostenibilità e che certifichino (con certificazione standard SA8000) i propri sistemi di responsabilità sociale e ambientale o che redigano un bilancio socio-ambientale; sostegno che viene dato in parte con contributi e agevolazioni, ma anche finanziando progetti di avvicinamento delle piccole e medie imprese locali al mondo della RSI, anche attraverso interventi in scuole e università: insomma, si tratta di una sensibilizzazione complessiva dell'intera società, partendo da una filosofia di tutela multistakeholder.
Questo programma ha visto come ente di naturale raccordo l’Unione Europea, che è stata la principale promotrice di questo concetto di sviluppo sostenibile prima col Trattato di Lisbona del 2000, poi con il Libro Verde della Commissione Europea del 2001.
Nel 2007 inoltre l’efficacia del sostegno di Fabrica Ethica alle PMI è stato premiato agli European Enterprise Awards; certamente ha favorito il raggiungimento di questo successo la presenza di un sistema di microcredito orientato assistito (SMOAT), di una Commissione Etica Regionale e di diversi altri strumenti pensati (o comunque utilizzati prevalentemente) per un concetto di sviluppo che nel suo complesso vada nel senso di una interiorizzazione delle problematiche ambientali e sociali.
Inoltre si è deciso di sviluppare sull’intero territorio regionale, ma con maggior coinvolgimento della zona del Valdarno (tra le province di Firenze e Pisa), un percorso sperimentale nel settore di concerie e pelletterie, denominato FELAFIP (Fabrica Ethica Laboratorio Filiera Pelle): questo proprio in ragione della natura fortemente impattante, soprattutto a livello ambientale, di tali attività.
Questo esperimento dimostra che gli incentivi vanno bene, anzi, in determinate circostanze sono necessari, ma si deve promuovere l'idea di responsabilità sociale anche in sé stessa, altrimenti ogni altra operazione pensata a suo sostegno può dimostrarsi esposta alla malafede di alcuni: forse è proprio questa la chiave del successo di Fabrica Ethica.
Per concludere, vorrei passare a un esame molto sommario della situazione italiana nel suo complesso: ci sono secondo me territori in cui è possibile introdurre buone pratiche di RSI, e altre in cui è indiscutibilmente più difficile; parlando per casi credo da tutti conosciuti, in un territorio come quello tarantino, teatro della tristemente nota vicenda ILVA, dove non sono rispettate neanche le normative di legge, mi pare ci sia poca speranza per pratiche volontaristiche di questo tipo.

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Messaggio  0000733408 Lun Apr 04, 2016 9:49 am

E’ ormai uno scenario globale quello che ci si propone dinnanzi agli occhi: al fine di avere un’idea d’insieme del mondo economico che ci circonda, non si può rimanere confinati entro il territorio nazionale di appartenenza. Proprio nel merito di questa considerazione, banale ormai per i giovani del XXI secolo che vivono in costante connessione col dinamico mondo circostante, si innesta la responsabilità sociale dell’impresa, meglio conosciuta come Corporate Social Responsability.
Nasce come una semplice idea che poi si è trasformata in corrente intellettuale e in varie proposte di natura culturale e istituzionale che hanno coinvolto e sempre più coinvolgono imprese di piccole, medie e grandi dimensioni. Tralasciando le critiche radicali che con puntuale cinismo sottolineano la crescita dell’applicazione di questa nuova forma di etica “più cool” e redditizia, che ha come principale scopo un alleggerimento fiscale se non un sostegno economico, conferito a tutte le imprese che vi aderiscono con più o meno impegno.
Vorrei soffermarmi sul motivo per cui quest’idea sorge: l’ etica. Un moto di sensibilità ha spinto dapprima una sola impresa, che era un insignificante puntino nell’universo economico e che poi a mano a mano ha riscosso sempre più successo diventando una vera e propria corrente di pensiero e un modus operandi, ora insito in migliaia di imprese di qualsivoglia dimensione. La motivazione etica, però, non è sufficiente se considerata da sola, la volontà è l’altro perno. Questo discorso è semplice rapportato alla realtà delle piccole imprese agricole, le quali idealmente possono essere più propense a soddisfare una politica di maggiore sensibilizzazione nei confronti dell’ambiente e dell’impatto che queste hanno su di esso, per tutte le altre colossi e non (infatti benché siano maggiormente conosciute le iniziative “green” delle multinazionali come Nestlé, non vi sono solo queste) non è affatto così scontato. Ritengo di fondamentale importanza il concetto “volontà” delle imprese che si approcciano in modo più pensato e meno avaro ala realtà circostante, infatti questo speciale tipo di responsabilità va al di là delle norme di legge e delle varie normative a cui obbligatoriamente si debbono attenere, altrimenti subentrerebbero sanzioni civili o addirittura penali. E’ l’autoregolamentazione delle imprese a muovere questo sempre più dinamico meccanismo. Sotto questo profilo l’autoregolamentazione finalizzata alla responsabilità sociale dell’impresa sarebbe priva di meccanismi di applicazione che ne garantiscano il rispetto, nonostante questa sia dotata di incentivi e disincentivi, ma se tale autoregolamentazione viene creata come complementare e integrativa della norma di legge, perciò accettata col consenso della società civile, suddetta responsabilità cessa di essere un’idea, o un falso buon proposito, trasformandosi in un concreto modo di operare. Certamente non mi illudo è ovvio che senza un ritorno economico niente verrebbe concluso, però sicuramente è un primo passo verso una consapevole e voluta ri-educazione e rinnovata sensibilizzazione che potrà portare (si spera) a un miglioramento globale non solo in termini economici, ma in termini di qualità della vita.

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Messaggio  0000730354 Mar Apr 05, 2016 11:10 am

Reputo che interrogarsi sulla naturalezza o meno della responsabilizzazione a livello sociale dell'impresa, sia, in un certo senso, fine a se stesso. Non privo di importanza, si badi, ma concretamente fine a se stesso perchè trattasi di un giudizio esposto a un numero pressoché infinito di variabili, cui si può giungere, con difficoltá, solo tramite una valutazione casistica e non generalizzata.
Vedo la questione in ottica più utilitaristica: non si tratta tanto dell'indagine sui termini di compatibilitá concettuale tra interesse economico e sociale/etico, quanto più delle modalitá attraverso le quali questi possano essere effettivamente e pariteticamente sussistenti e presenti.
L'interesse economico è, infatti, la radice, l'essenza dell'attivitá di impresa (salve le imprese non lucrative), e traino della stessa: l'interesse sociale/etico è, o comunque sembra, rispetto, a questo, eventuale ed accessorio, nella prassi aziendale.
Riferendosi a forse il primo teorizzatore della CSR ossia Carroll, egli teorizzò una struttura piramidale delle responsabilitá degli stakeholders in impresa: progressivamente, dal basso all'alto, responsabilitá economica, legale, etica e filantropica. Il livello di assunzione volontaria di responsabilitá sociale è, per Carroll, sovraordinato a livello piramidale rispetto a quelle economica e legale, ma non discrezionale: ciò significa che la responsabilitá etica sussiste sempre in impresa, anche se si afferma come interesse non prioritario e primario.
L'opinione pubblica, come è stato detto da voi colleghi/e, è il filtro del successo dell'impresa, il cui andamento non si può scindere dalla percezione che i consumatori hanno di quella realtá.
Ed ecco che vengo al nocciolo del mio discorso: l'incentivazione, in qualsiasi forma possa essere realizzata, di condotte socialmente responsabili dovrebbe essere resa ben più vigorosa e penetrante, per giungere ad un risultato, attraverso il vaglio dell'opinione pubblica, di piena compenetrazione tra gli interessi, eliminando il carattere prioritario di quello economico.

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Messaggio  0000724335 Mer Apr 06, 2016 5:29 pm

A mio avviso, responsabilità sociale d'impresa ed etica sono due facce della stessa medaglia. Possono essere delineate due dimensioni della RSI: una interna ed una esterna. La prima inerisce ai rapporti tra l'imprenditore ed i suoi dipendenti; la seconda, invece, fa riferimento all'utilizzo e alle conseguenze che l'attività imprenditoriale ha nei confronti del capitale umano, delle risorse naturali e dell'ambiente. Queste due prospettive devono entrambe essere tenute in considerazione per una visione complessiva della RSI e, soprattutto, per tracciare le differenze rispetto all'etica. Un'impresa, infatti, adotta delle politiche di responsabilità sociale prevalentemente per ottenere maggiori consensi da parte dell'opinione pubblica e, quindi, per avere delle ricadute positive in termini economici. Ben diversa è l'etica che, piuttosto, ha delle finalità più ampie. Vero è che esiste una linea di continuità tra etica e RSI, in quanto l'esistenza di valori etici all'interno di un'impresa comporta necessariamente l'assunzione dell'impegno sociale. Non sempre si può dire il contrario poiché, spesso, le misure adottate dalle imprese sono dettate da moventi non-etici. L'adozione di una condotta virtuosa non è univoca, infatti, molte imprese tendono a identificare come “sociali” misure che in realtà non lo sono, come la riduzione dell'energia utilizzata, che, in realtà, può rispondere a delle finalità di risparmio per l'azienda. L'argomento è stato ampiamente trattato da Vogel, il quale afferma che “la virtù andrebbe praticata senza aspettativa di profitto”. Ovviamente, poi, è plausibile che dall'adozione di condotte socialmente responsabili derivino condizioni positive per l'impresa, ma queste devono essere solo accessorie rispetto all'interesse primario, ovvero quello etico. Non concordo con la visione di Carrol, il quale, nella sua visione piramidale, inserisce il fine economico in una posizione superiore rispetto a quello etico, poiché, è vero che le imprese vogliono conseguire prevalentemente dei profitti, ma questo non deve distoglierle da finalità più ampie.

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convinzione di valori o mero interesse? Empty CONDIVISIONE DI VALORI PER REALIZZARE UN INTERESSE

Messaggio  0000726054 Lun Apr 11, 2016 11:13 am

A mio avviso trattasi per lo più di strategie di marketing poste in essere per la realizzazione di interessi individuali, salvo casi eccezionali. Tuttavia, come del resto è già emerso nei commenti precedenti, le motivazioni perdono di rilevanza nel momento in cui i risultati prodotti sono ottimali e soddisfano le esigenze delle collettività. Il fatto che perdano di rilevanza, però, non significa che siano irrilevanti in sè, in quanto, per potersi fidare e/o affidare ad un'impresa occorre conoscerne e capirne i meccanismi alla base, ma occorre ammettere, che in determinati casi, anche in presenza di motivazioni egoistiche o traslate, è preferibile un'impresa che adotta atteggiamenti socialmente responsabili piuttosto che una totalmente disinteressata.

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Messaggio  Regina Dalla Libera Lun Apr 11, 2016 7:58 pm

Secondo la comunicazione UE 61/2011 la Rsi è la " responsabilità delle imprese per gli impatti che hanno sulla società".
Sempre secondo l' UE l' imprenditoria è socialmente responsabile quando soddisfa le esigenze del cliente e allo stesso tempo le aspettative di altri stakeholders come ad esempio: il personale, i fornitori e la comunità locale di riferimento.
La rsi è l' applicazione di principi quali:
1)la sostenibilità, ossia l' uso consapevole ed efficiente delle risorse ambientali,la valorizzazione delle risorse umane, lo sviluppo della comunità locale in cui l' azienda opera.
2)la volontarietà, nel senso che non si può accreditare come socialmente responsabile un' impresa che si limiti al rigoroso rispetto dei divieti ma deve necessariamente andare oltre agli obblighi di legge.
A mio avviso l' opinione pubblica ha un ruolo fondamentale nel campo della rsi e l' opinione pubblica si è formata in un contesto culturale che chiede all' impresa di adottare comportamenti sempre più socialmente responsabili, pur "coltivando un egoismo intelligente".
Nell' attuale contesto produttivo, l' impegno "etico" è entrato nella così detta: catena dei valori per uno sviluppo sostenibile e ciò porta la politica all' emanazione di norme sempre più volte al raggiungimento di questo scopo.
Secondo il mio parere poco importa che ciò sia fatto per puro interesse da parte delle imprese, l' importante è che le norme raggiungano lo scopo della rsi e a mio avviso contribuiscano comunque a formare una coscienza responsabile negli imprenditori di questi tempi per salvaguardare la collettività.

Regina Dalla Libera

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convinzione di valori o mero interesse? Empty Maggiore sensibilità negli under 30

Messaggio  0000723421 Mar Apr 12, 2016 4:04 pm

In realtà si può affermare, sulla base di alcune ricerche condotte, che risposte da parte dell'opinione pubblica in merito alla CSR ce ne siano e, oltretutto, si tratti anche di riscontri positivi.
Da una di queste indagini emergono dati molto rincuoranti circa la sensibilità al tema degli under 30 (nati fra il 1980 e il 2000), così radicata nei loro ideali a tal punto che essi risultino più motivati a ricercare un'occupazione (82%) o a investire (66%) in un'impresa che abbia ottenuto riconoscimenti per la propria condotta sociale attiva. Percentuali sempre ragguardevoli e positive attengono a voci della ricerca quali l'acquisto di prodotti e servizi da una societa' etica (92%) o l'eventuale donazione di una parte del reddito annuo da impiegare per il raggiungimento di un obiettivo sociale (49%).
I dati di queste voci, se confrontate con quelli raccolti sul campione degli under 35, sono molto superiori.
Questo dimostra come il tema della responsabilità sociale stia penetrando sempre con maggior forza nei valori dei giovani di oggi, facendo presagire e sperare in un futuro in cui le aziende prestino, anno dopo anno, più attenzione all'impatto delle loro decisioni, tanto a livello interno nel trattamento dei lavoratori, quanto a livello esterno verso la societa' e l'ambiente di riferimento.
Condivido però l'idea secondo cui è molto probabile che non tutte le imprese che adottino comportamenti socialmente utili siano mosse da un reale convincimento circa questi ideali o traslino realmente quanto previsto sulla carta in un operato concreto, visto che esse potrebbero adottare queste condotte soltanto per ottenere ritorni di vario genere in termini di immagine e marketing. E' anche vero però che dal momento in cui si può accertare che le suddette aziende pongano realmente in essere quanto indicato nei loro programmi e producano effetti positivi a livello sociale, il fine che ha spinto la societa' passa in secondo piano.

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Messaggio  0000726304 Sab Apr 16, 2016 2:58 pm

Non è così lontana dalla realtà l'idea che la responsabilità sociale d'impresa finisca per essere una moda, un must have radical chic, a cui alcuni imprenditori finiscono per aderire in maniera opportunistica.
La spinta sempre più pressante dei consumatori che richiedono una maggiore attenzione verso l'ambiente, verso la salute e la sicurezza nel luogo di lavoro, verso lo sfruttamento incondizionato o probabilmente troppo condizionato dal primato del profitto, ha portato quasi forzatamente ad un'inversione di rotta da parte di molte imprese.
Ma può il fattore sociale, e dunque la spinta dell'opinione pubblica bastare a creare quella che è la tanto auspicata cultura della responsabilità sociale d'impresa, che potremmo anche identificare come cultura della cooperazione e della fiducia?
La risposta sembra, secondo la mia personale opinione, piuttosto scontata. Una spinta esterna non basta, è necessario che l'input venga dato dall'interno, dai veri protagonisti dell'impresa, ovvero gli imprenditori. E' assolutamente necessario che si formi una volontà consapevole.
La sfida della cooperazione sta proprio nel tentare un superamento della logica dei sindacati e dei diritti concessi,e nel fare in modo che sia proprio la classe imprenditoriale ad operare una presa di coscienza, attraverso cui, quanto finora conquistato e garantito dal diritto del lavoro, diventi un risultato logico-effettuale di tale nuova consapevolezza, quella di fare impresa in maniera non opportunistica.
Potrebbe questa apparire una speculazione utopica più che reale, eppure ha una sua logica.
La soluzione della cooperazione e della responsabilità sociale, può giovare alla competitività e produttività delle imprese stesse, può giovare alla loro immagine, e di rimando al loro fatturato. È ovvio, non si può parlare di risultati in un periodo breve, il profitto nel breve termine si realizza con ben altri mezzi: con un semplice abbattimento dei costi del lavoro ad esempio, o con una scarsa attenzione alle politiche di sicurezza dell'ambiente di lavoro. La RSI implica delle prospettive ben diverse: investimenti e risultati a lungo termine, che però possono realizzare enormi benefici.
Il fulcro del discorso è che l'interesse sociale deve passare da una modalità accessoria ad una squisitamente centrale.
Mi spiego meglio, quando nella nostra Costituzione i padri costituenti hanno immaginato di dare sostanza ad una forma di cooperazione e di responsabilità sociale con i comma 2 e 3 dell'art. 41 o con l'art 46, l'hanno fatto concependolo come una sorta di limite esterno al primo comma del 41, che sancisce invece la libertà dell'iniziativa economica. Ma in fondo non bisogna stupirsi di ciò, è questa la risultante di una cultura giuslavorista che si è sviluppata in questa direzione sin dall'800. E' stato cioè un continuo tentativo di regolamentare determinati comportamenti imprenditoriali, di limitarli,di controbilanciarli, cristallizzando una contrapposizione di interessi, un conflitto che è diventato il paradigma imprescindibile del diritto del lavoro. Per quanto lapalissiana possa apparire la difficoltà di creare una cultura nuova dell'impresa e un'abitudine all'RSi, sono dell'opinione che sia un risultato quanto meno perseguibile.
È solo la convinzione in questi valori che può produrre una base solida per attuare una vera e propria rivoluzione copernicana, un ribaltamento dal conflitto alla cooperazione, affinché la responsabilità sociale diventi regola,e la libertà imprenditoriale limite.
La scelta di trasformare un'impresa per un mero interesse opportunistico potrà comunque portare al risultato sperato, servirà sicuramente per conquistare una battaglia, ma di certo non basterà per vincere la guerra.

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Messaggio  0000726097 Dom Apr 17, 2016 10:57 am

Un gruppo di ricercatori dell' Università dell' Oregon, attraverso un nuovo studio, Do Socially Responsible Firms Pay More Tax?, pubblicato sul numero di Gennaio dell' Associazione americana di contabilità, ha cercato di spiegare che cosa piuttosto che chi incoraggia le aziende ad adottare comportamenti socialmente responsabili. Lo studio dimostra che le imprese maggiormente responsabili nel campo sociale sono anche quelle che pagano meno tasse. I ricercatori hanno esaminato aziende come la Pfizer che opera nel campo farmaceutico e impegnata in diversi progetti di responsabilità sociale. La Pfizer, infatti, ha da poco concluso una trattativa per l' acquisizione di una società irlandese che produce Botox, Allergan. è un accordo vantaggioso perché consente alla Pfizer di spostare il proprio domicilio fiscale in Irlanda dove la pressione fiscale è più bassa degli USA. Gli autori spiegano che in tal modo le imprese pagando meno tasse avranno più risorse da destinare alla beneficienza. Inoltre, le organizzazioni internazionali come il GRI (Global Reporting Initiative) raccomandano alle imprese di fornire informazioni dettagliate sugli obblighi fiscali perché "pagare meno tasse contribuisce a migliorare il benessere sociale della comunità locale dove l'impresa opera". La ricerca ha altresì dimostrato che le imprese si convincono molto spesso che pagando più tasse sia compromessa la loro capacità di realizzare scopi etici. La responsabilità sociale, da un lato, fa sì che l'impresa si faccia carico dei problemi che causa con la propria attività, dall'altro, è usata per mitigare comportamenti quali per esempio la frode fiscale. I risultati della ricerca si basano su un campione di aziende statunitensi che lavorano per fare profitti senza intralci e poi regolare i conti con il fisco. Una volta definiti tali profitti, una parte viene destinata ad azioni di responsabilità sociale. I ricercatori, per concludere, hanno indicato che anche alcune imprese europee socialmente responsabili sono propense ad eludere il fisco.

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