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Ma come fa un vestito a costare 7 euro?

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Ma come fa un vestito a costare 7 euro? Empty Ma come fa un vestito a costare 7 euro?

Messaggio  0000722797 Sab Mag 07, 2016 6:12 pm

Senza voler ripetere quanto già si è ampiamente detto in questo forum riguardo alle politiche di colossi quali H&M o Zara, vorrei parlarvi di un articolo che ho letto pochi giorni fa in una rivista e che mi ha colpita.
Tale articolo riguardava l'imminente sbarco in Italia di Primark, colosso irlandese della moda low cost già presente in numerosi paesi esteri quali il Regno Unito e di recente approdato anche in Germania. Negli ultimi 5 anni i nuovi brand della moda low cost sono cresciuti del 5%, secondo uno studio della società di consulenza Bain&Co: "Il loro sistema produttivo ha rivoluzionato le abitudini dei consumatori: ha portato le persone nei negozi una volta a settimana invece di una a stagione. Da una parte spinge verso l'approccio usa-e-getta, dall'altra offre l'accesso a prodotti di tendenza con un buon rapporto qualità-prezzo ", dice Francesca Romana Rinaldi, docente di Fashion Management all'università Bocconi di Milano.
Ma, di fronte ad un abito venduto a 7 euro - prosegue l'articolo - qualche domanda è d'obbligo.
- Cosa c'è dietro prezzi tanto economici?
Queste le parole di Francesca Romana Rinaldi: "Le cosiddette economia di scala, cioè il fatto che vengono messe in vendita grandi quantità di abiti ed accessori. Nei negozi, poi, i clienti si servono da soli, quindi si risparmia sul personale. E la produzione, in genere, è localizzata in Paesi in cui il lavoro costa poco ma la logistica è efficiente". Paesi quali l'India e il Bangladesh, di cui già alcuni miei colleghi hanno parlato, dove lo sfruttamento del lavoro è all'ordine del giorno e il sistema utilizzato nella produzione è quello del "make-to-stock": diversamente dalle aziende tradizionali, infatti, l'acquisto dei materiali viene effettuato prima di conoscere le richieste del mercato. La fabbricazione così è molto più veloce e ogni settimana arrivano in negozio abiti nuovi: questo permette di mantenere i prezzi bassi e di riscuotere un gran successo presso i consumatori.
- Perché le collezioni cambiano sempre?
Questo si collega a quanto appena accennato: non si seguono più le stagionalità primavera-estate e autunno-inverno, ma si segue la logica della "rolling collection". Come spiega Stefano Sacchi, consulente di brand: "Lo scopo è dare al consumatore la sensazione di comprare una novità. E deve sbrigarsi a farlo perché la settimana dopo potrebbe essere tardi. Per riuscire a sfornare un trend dopo l'altro, il fast fashion introduce in anticipo nelle proprie collezioni tutto ciò che si vede nelle passerelle delle griffe. Se queste ci mettono mesi a portare nei negozi gli abiti delle sfilate, le aziende low cost impiegano al massimo 10 giorni."
- Le griffe subiscono la concorrenza?
Assolutamente sì, perchè gli abiti che espongono in vetrina sono già stati diffusi ad ampio raggio dalle grandi catene come H&M o Zara. Tra l'altro furono proprio i grandi marchi ad innescare questo meccanismo, negli anni '80, per ottimizzare gli investimenti creando linee più abbordabili - ad esempio, Armani con i prodotti Emporio. Oggi, le griffe si devono adattare con limited edition e quant'altro.
- Un abito low cost è di qualità?
Non è assolutamente detto: quando le materie prime non sono del tutto scadenti, dietro quasi sicuramente si nasconde un fornitore non pagato a sufficienza o lavoratori sfruttati, anche minorenni. Tuttavia non è sempre così e l'articolo porta l'esempio del brand italiano Dixie che produce in uno dei centri del pronto moda italiano: il Macrolotto di Prato, luogo strategico perchè permette da un lato di accelerare i tempi che vanno dall'ideazione alla distribuzione del prodotto, e dall'altro di produrre e vendere a km zero. E' qui che avviene il risparmio sui costi ed è così che i prezzi si abbassano, senza togliere qualità ai prodotti.
- La moda fast spinge a comprare di più?
"Se aumenta l'offerta, sale anche la tendenza a consumare", dice Emanuela Mora, docente all'università Cattolica di Milano. "E si innesca una sorta di bulimia dell'acquisto." Vero è che in molto consumatori si è verificata una presa di coscienza e di posizione che li porta a preferire una moda più sostenibile; ma i ragazzi, principali utenti delle grandi catene low cost, continuano a preferire di acquistare questi prodotti che costano poco e sono interscambiabili per creare look diversi.



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Messaggio  0000688490 Dom Mag 08, 2016 8:13 pm

Come hanno espresso i professori, le possibilità offerte dal commercio con paesi in cui il lavoro costa poco, una posizione contrattualmente forte nei confronti di clienti e fornitori, i nuovi mezzi di trasporto e comunicazione, una clientela poco interessata all'etica d'impresa e il gusto passeggero per la moda fanno sì che un vestito costi 7 euro. Molto probabilmente dietro tali prezzi si cela qualche violazione del "codice etico" della RSI, ma la realtà dei fatti ci dice che al giorno d'oggi c'è chi è disposto a evitare di indagare o a sopportare, in cambio di un buon rapporto qualità/prezzo, che il produttore dei propri abiti sia irresponsabile socialmente. Se quindi non sono i consumatori a far sì che tali aziende si impegnino nell'assunzione di responsabilità, tale onere grava o sulle istituzioni statali e sovrastatali, o sulle aziende stesse. La concorrenza tra i vari marchi low cost potrebbe far sì che per risultare appetibile a nuove fasce di consumatori, un'azienda si impegni in una campagna di responsabilità sociale, innescando una spirale in cui la concorrenza spinga anche altre imprese dello stesso settore a fare lo stesso. In alternativa, se la RSI continuerà a svilupparsi e a prendere piede in altri settori, potrebbe accadere che l'istituzione competente imponga l'obbligo generale di seguire certi principi nei rapporti con gli stakeholders.

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Messaggio  0000658795 Lun Mag 09, 2016 6:02 pm

Il fatto che un vestito giunga a costare 7 euro credo possa destare una certa perplessità su chiunque, tuttavia la società in cui viviamo estremamente narcisistica e volta all'apparenza fa si che famiglie disagiate contraggano debiti per avere vestiti da sfoggiare sempre in consueta tendenza; e se una famiglia, e ce ne sono tante, giunge ad un certo tipo di ragionamento quante sarebbero quelle che realmente si sottrarrebbero all'acquisto di un abito, apparentemente ben formato che costi un prezzo così irrisorio? A mio avviso l'impresa quando va a produrre deve mantenere una certa responsabilità, ma dalla stessa non può essere sempre esentato il consumatore che quando acquista un abito corrispondendo un importo così irrisorio è consapevole, anche se solo intuitivamente, delle dinamiche che lo stesso cela nella sua produzione. Credo che nell'epoca attuale un certo senso civico e di responsabilità debba sicuramente svilupparsi nelle imprese dove può raggiungersi con un'intensificazione dei controlli, ma anche approdare nella coscienza di ognuno di noi come senso morale e civico verso gli ideali di cui siamo portatori.

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Ma come fa un vestito a costare 7 euro? Empty RE: MA COME FA UN VESTITO A COSTARE 7 EURO?

Messaggio  0000722558 Mer Mag 11, 2016 3:32 pm

Vorrei lanciare una domanda provocatoria:  e se fosse più conveniente acquistare abiti "più cari" rispetto ai vestiti low cost?. Per ricollegarmi alla domanda della discussione, un vestito per costare 7€, carenze dal punto di vista qualitativo dei materiali usati per la produzione le ha sicuramente, infatti, spesso noto che le etichette riportano la scritta "100% poliestere" (materiale sintetico) invece di cotone ad esempio; non dimentichiamoci dove questi abiti vengono prodotti e da chi, non di rado sentiamo dire che in Bangladesh, India e Cina vengono sfruttati bambini per produrre vestiti a costo 0 (altro motivo del sottocosto di questi indumenti). Pensiamo anche alla nostra salute: recentemente mi è capitato di leggere un articolo su un'indagine di Green Peace su "Il Fatto Quotidiano" titolato "I vestiti? contengono sostanze tossiche e nocive" dove vengono elencati più di 20 brand (tra cui le citate H&M, Zara, C&A, Benetton etc etc...) che utilizzano sostanze altamente tossiche per il nostro corpo alterando le funzionalità dei nostri ormoni, ovviamente con un uso prolungato. Quindi siamo così sicuri che comprare questi vestiti a basso prezzo sia conveniente? a questo punto, come ho detto a principio, è meglio spendere un po' di più ma puntare sulla qualità dei prodotti. E poi, oltre a rimetterci di salute, ci rimettiamo di soldi: questa moda definita "usa e getta" mi induce a pensare che gli abiti si rompano e usurino facilmente e di conseguenza ci vediamo costretti a comprarne di nuovi, sempre più spesso, spendendo molti più soldi rispetto ad investire su un'unico capo più caro ma comprandolo una volta sola. Questi brand sicuramente dovranno adeguarsi a determinati standard etici e morali della RSI, ma se non lo fanno loro, noi dobbiamo essere coscienti e ben consapevoli che dietro a questi piccoli prezzi si celino spesso grandi e dure verità non a nostro vantaggio, anche perché è facile pensare che questi brand low cost più che favorire i nostri interessi, favoriscano quelli dei propri stakeholders cercando di massimizzare, in ogni modo, i profitti, diciamo facendo anche un po' i "furbetti" sulla reale qualità dei prodotti.

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Messaggio  0000670642 Mer Mag 11, 2016 5:18 pm

In Italia costi di produzione, manodopera e tassazione sono davvero elevati; per cui al fine di rispondere ad una domanda di questo genere gli unici punti di approdo sono i seguenti: sfruttamento dei lavoratori (come spesso accade per i lavoratori orientali) e dislocazione della produzione all'estero in paesi in via di sviluppo che concedono alle nuove imprese una tassazione più agevolata e sicuramente minore di quella italiana.
Senza dubbio ciò è causa di sofferenza ed estrema freddezza da parte delle grandi imprese che sfruttano queste persone, il problema è da considerarsi a livello mondiale come pù grave che mai. Capita frequentemente di trovare magazzini e industrie abusive dove i lavoratori vengono sfruttati anche fino a 18 ore di lavoro al giorno, cose che ai nostri tempi non dovrebbero neanche essere contemplate.

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Messaggio  0000722554 Mer Mag 11, 2016 5:31 pm

E' vero, l'inarrestabile sviluppo di marchi come H&M e di grandi magazzini come Primark ha davvero introdotto un nuovo modo di concepire lo "shopping".
La maggior parte della gente che compra una maglietta a 7 euro non si preoccupa più della qualità, non legge l'etichetta e sicuramente non riflette sul lavoro, spesso disumano, che sta dietro quel semplice capo.
E' questo quello che ha fatto l'abbigliamento low cost, ha estremizzato ulteriormente l'indole già consumista del mondo occidentale.
Il consumatore medio non sembra preoccuparsi più di tanto dell'origine dei capi che compra; anche io cado spesso nella trappola dei prezzi bassi e sarei un'ipocrita ad affermare il contrario.
La tentazione di comprare tanto e frequentemente offusca le menti e soffoca i temi sociali. Ma l'inversione di tendenza non può che arrivare dal pubblico stesso. E' nostro il compito di scegliere consapevolmente cosa acquistare.
E' anche vero, però, che la valutazione delle società low cost e dei motivi che consentono loro di applicare prezzi così bassi non può limitarsi a considerare solamente le pessime condizioni lavorative a cui sono soggetti i dipendenti di queste imprese nella maggior parte dei casi.
E' giusto considerare anche tutti gli altri elementi messi in luce dai professori che hai citato nell'articolo e augurarsi, magari, che siano principalmente la mancanza di investimenti sul personale e sulla pubblicità o le economie di scala a muovere la politica delle aziende di abbigliamento "economico".

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Ma come fa un vestito a costare 7 euro? Empty Perplessità legittima ; Naomi Klein NO LOGO

Messaggio  0000736163 Mer Mag 11, 2016 8:59 pm

Il dubbio e il mal pensare verso questi argomenti sono legittimi, anzi, legittimati da tantissime fonti.
Fra questi, il libro NO LOGO dell'attivista Naomi Klein, spiega le dinamiche di un commercio tanto al ribasso.

"La maggioparte del saggio è dedicata principalmente a un'analisi della storia del fenomeno del branding e alle sue ripercussioni sulle dinamiche del lavoro. Nello specifico, Naomi Klein afferma che negli ultimi vent'anni avrebbe avuto luogo un radicale cambiamento nel capitalismo : se prima era centrale la fase della produzione di merci, ora quest'ultima diventa marginale e trascurabile, mentre si impiegano sempre più forze e denaro sul marchio e sulla proposta di una serie di valori immateriali ed ideali da collegare ad esso (branding) , con lo scopo di crearsi una propria fetta di monopolio . Le ingenti risorse monetarie che queste strategie richiedono derivano dal risparmio sulla produzione, che viene dislocata nei paesi del Terzo mondo dove l'azienda può sfruttare impunemente la manodopera operaia. In questo contesto viene presentata un'analisi approfondita della realtà delle Export Processing Zones dell'Asia e dell'America latina (incluso un resoconto di una visita della giornalista nell'EPZ di Cavite), in cui gran parte delle imprese a cui i grandi marchi internazionali (Nike, Reebok, Adidas, Disney ecc.) subappaltano gran parte della loro attività produttiva."

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Ma come fa un vestito a costare 7 euro? Empty Re: Ma come fa un vestito a costare 7 euro?

Messaggio  0000723896 Gio Mag 12, 2016 10:01 am

Condivido in pieno quanto espresso sopra dai colleghi; è ormai chiaro che per ottenere un capo d'abbigliamento a questi prezzi, vi è da parte delle aziende un grande risparmio sui costi di produzione. Tuttavia per non ripetere quanto già detto, vorrei dare un contributo in più alla discussione, sottolineando un possibile futuro risvolto della nuova tendenza di concepire lo "shopping". Siamo sicuri che questa modalità "usa e getta" di concepire l'abbigliamento e la moda, sia realmente conveniente? Ad una attenta analisi costi/benefici, probabilmente, ci renderemmo conto che non sempre conviene : a livello economico, nel corso di un anno solare, siamo sicuri che sia più conveniente comprare un paio di scarpe di buona qualità, pagando un prezzo maggiore, che comprare più paia di scarpe di bassa qualità ad un prezzo minore? Se rapportiamo questo esempio a tutti i capi di abbigliamento ci rendiamo conto che probabilmente siamo solo vittime (inconsapevoli?) del consumismo più sfrenato, che però ben si adatta alla necessità di flessibilità economica che richiedono i consumatori. Credo, tuttavia, che questa tendenza sviluppatasi negli ultimi anni si rivelerà un "boomerang" per le stesse aziende. I consumatori presto si renderanno conto, solo sulla base di un'analisi egoistica dei costi benefici (premesso che i consumatori che comprendono anche tutti gli altri rischi sociali e di salute che derivano dallo "shopping usa e getta" probabilmente già si sono rivolti verso prodotti di qualità), che, pagare un abito 7 euro, alla fine, non conviene neanche economicamente.

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Messaggio  0000653714 Ven Mag 13, 2016 12:27 am

un vestito che costa 7 euro.. beh, certamente qualche perplessità deve destarla. immagino però che non siano in tanti, quelli che poi effettivamente si pongono tale problema. sfido chiunque, comunque, a non esser stato attirato dall'acquistare un articolo apparentemente di una qualità almeno decente (almeno a prima vista) carino, "di tendenza" magari, e dal prezzo anche molto basso. per quanto riguarda la questione dell' "usa e getta" in realtà, non credo che sia un problema insormontabile per molti, voglio dire: la maggior parte delle persone credo che penserebbe proprio "ma sì, lo prendo, anche se dovesse durare solo pochi mesi, tanto l'ho pagato poco", e potrebbe anche essere un motivo, una scusa in più, per poter cambiare più spesso il proprio guardaroba. quindi, perchè investire in capi di qualità che costano di più, che ci consentono di acquistarne magari solo uno per volta e forse anche con sacrifici, che probabilmente durerà di più e quindi saremo quasi "costretti" ad utilizzarlo più a lungo, quando invece potremmo comprare il capo carino e super economico, "e già che costa così poco, posso prenderne anche tre"? Già, sembrerebbe assurdo, senza senso...finchè non pensiamo a cosa c'è DIETRO a quel capo, alle persone che l'hanno prodotto, al luogo in cui è stato fabbricato, alle mani attraverso cui è passato, all'età, alle condizioni di quei lavoratori, alla salubrità di quell'ambiente. Ma quanti, cari colleghi, penseranno mai a tutto questo, quando entreranno quasi come avvoltoi nei negozi delle grandi catene a basso costo, magari in periodo di saldi, pronti ad accaparrarsi l'ultima maglietta a pochi euro?

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Messaggio  728362 Ven Mag 13, 2016 9:31 am

Certamente se un abito costa solamente 7 euro, moltissime domande si formano nella mia mente. Innanzitutto il fatto che la manodopera sia effettuata all’ estero dove i costi sono irrisori poiché i lavoratori vengono sottopagati e di conseguenza sfruttati. Inoltre bisogna considerare che la maggior parte dei vestiti che troviamo a prezzi cosi bassi li acquistiamo in catene, le quali producono in enormi quantità e a livello internazionale per tale motivo riescono ad abbassare anche i costi di produzione di ogni singolo abito. La maggior parte dei prodotti non è sicuramente creata con materiale di alta qualità di conseguenza è ormai diventata un’ abitudine per me, aspettarmi prezzi cosi bassi in certi tipi di catene. Ovviamente il consumatore che acquista in queste catene deve ritenersi in parte responsabile nel contribuire allo sfruttamento dei lavoratori che producono gli abiti e all’ arricchimento di queste catene, le quali nonostante la loro grandezza, continuano a non adoperarsi per istituire politiche di RSI all’ interno delle loro aziende. In sintesi sono d’ accordo con molti dei professori citati in vari commenti, in quanto penso che al giorno d’ oggi si sia affermata una sorta di “bulimia d’ acquisto” (come afferma Emanuela Mora), dove sia più importante cambiare continuamente look e farlo a prezzi bassi, piuttosto che pensare a dove stiamo acquistando. Bisogna quindi chiedersi se sia più importante acquistare molti vestiti ed avere un guardaroba ampio senza preoccuparsi dove si sta acquistando oppure acquistare in aziende che adottano nel giuste politiche di RSI necessarie a tutelare i loro lavoratori?

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Messaggio  0000653714 Dom Mag 15, 2016 9:46 pm

728362 ha scritto:Certamente se un abito costa solamente 7 euro, moltissime domande si formano nella mia mente. Innanzitutto il fatto che la manodopera sia effettuata all’ estero dove i costi sono irrisori poiché i lavoratori vengono sottopagati e di conseguenza sfruttati. Inoltre bisogna considerare che la maggior parte dei vestiti che troviamo a prezzi cosi bassi li acquistiamo in catene, le quali producono in enormi quantità e a livello internazionale per tale motivo riescono ad abbassare anche i costi di produzione di ogni singolo abito. La maggior parte dei prodotti non è sicuramente creata con materiale di alta qualità di conseguenza è ormai diventata un’ abitudine per me, aspettarmi prezzi cosi bassi in certi tipi di catene. Ovviamente il consumatore che acquista in queste catene deve ritenersi in parte responsabile nel contribuire allo sfruttamento dei lavoratori che producono gli abiti e all’ arricchimento di queste catene, le quali nonostante la loro grandezza, continuano a non adoperarsi per istituire politiche di RSI all’ interno delle loro aziende. In sintesi sono d’ accordo con molti dei professori citati in vari commenti, in quanto penso che al giorno d’ oggi si sia affermata una sorta di “bulimia d’ acquisto” (come afferma Emanuela Mora), dove sia più importante cambiare continuamente look e farlo a prezzi bassi, piuttosto che pensare a dove stiamo acquistando. Bisogna quindi chiedersi se sia più importante acquistare molti vestiti ed avere un guardaroba ampio senza preoccuparsi dove si sta acquistando oppure acquistare in aziende che adottano nel giuste politiche di RSI necessarie a tutelare i loro lavoratori?

Sono certamente d'accordo come ho già espresso sopra e ovviamente chi acquista in determinate catene a prezzi molto bassi,sicuramente sa bene che non può aspettarsi chissà quale qualità.
Vorrei però ricordare che chi fa acquisti in questo modo,non necessariamente soffre di questa bulimia di acquisto, non per forza compra a prezzi stracciati per poter cambiare continuamente il guardaroba, ma forse perchè non può spendere di più, e magari quel jeans pagato meno di 20 euro, lo tiene anche per parecchi anni....

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Messaggio  0000722797 Lun Mag 16, 2016 10:07 am

0000653714 ha scritto:
728362 ha scritto:Certamente se un abito costa solamente 7 euro, moltissime domande si formano nella mia mente. Innanzitutto il fatto che la manodopera sia effettuata all’ estero dove i costi sono irrisori poiché i lavoratori vengono sottopagati e di conseguenza sfruttati. Inoltre bisogna considerare che la maggior parte dei vestiti che troviamo a prezzi cosi bassi li acquistiamo in catene, le quali producono in enormi quantità e a livello internazionale per tale motivo riescono ad abbassare anche i costi di produzione di ogni singolo abito. La maggior parte dei prodotti non è sicuramente creata con materiale di alta qualità di conseguenza è ormai diventata un’ abitudine per me, aspettarmi prezzi cosi bassi in certi tipi di catene. Ovviamente il consumatore che acquista in queste catene deve ritenersi in parte responsabile nel contribuire allo sfruttamento dei lavoratori che producono gli abiti e all’ arricchimento di queste catene, le quali nonostante la loro grandezza, continuano a non adoperarsi per istituire politiche di RSI all’ interno delle loro aziende. In sintesi sono d’ accordo con molti dei professori citati in vari commenti, in quanto penso che al giorno d’ oggi si sia affermata una sorta di “bulimia d’ acquisto” (come afferma Emanuela Mora), dove sia più importante cambiare continuamente look e farlo a prezzi bassi, piuttosto che pensare a dove stiamo acquistando. Bisogna quindi chiedersi se sia più importante acquistare molti vestiti ed avere un guardaroba ampio senza preoccuparsi dove si sta acquistando oppure acquistare in aziende che adottano nel giuste politiche di RSI necessarie a tutelare i loro lavoratori?

Sono certamente d'accordo come ho già espresso sopra e ovviamente chi acquista in determinate catene a prezzi molto bassi,sicuramente sa bene che non può aspettarsi chissà quale qualità.
Vorrei però ricordare che chi fa acquisti in questo modo,non necessariamente  soffre di questa bulimia di acquisto, non per forza compra a prezzi stracciati per poter cambiare continuamente il guardaroba, ma forse perchè non può spendere di più, e magari quel jeans pagato meno di 20 euro, lo tiene anche per parecchi anni....

Questo può essere vero per alcune categorie di clienti (come, per fare un esempio molto vicino a noi, gli studenti fuori sede) ma se è vero che nella determinazione del prezzo incide la qualità dei materiali utilizzati per fabbricare il prodotto e la modalità di fabbricazione del medesimo, un jeans pagato meno di 20 euro non credo possa avere una vita tanto lunga, se utilizzato regolarmente dal compratore e non soltanto poche volte. C'è una relazione diretta tra qualità e usura e non vi si può sfuggire. Per fare un esempio strettamente attinente alla realtà e alla mia esperienza personale, io utilizzo da molti anni (anche 6 o 7!) alcuni jeans che comprai a 50 € l'uno (in sconto del 50% per i saldi invernali, ma il cui prezzo in realtà si sarebbe aggirato sui 100 €); di contro, dopo un solo anno di utilizzo, un paio di jeans che acquistai lo scorso anno da OVS a 20 euro è già liso e usurato e tra non molto sarò costretta a non indossarlo più. Dunque, se non sempre è vero che al prezzo corrisponde interamente la qualità, è pur vero che la qualità ha un peso nel prezzo e che alla qualità segue la durata di una capo, e di conseguenza la necessità di acquistarne di nuovi molto più velocemente. E' lo stesso discorso che si fa spesso per gli elettrodomestici di nuova generazione, destinati a funzionare per un certo periodo di tempo ma non di più, al fine di garantirne un ricambio.
Detto questo, sono comunque d'accordo con l'osservazione per cui non necessariamente e non automaticamente chi acquista presso queste catene lo fa in preda alla citata "bulimia d'acquisto" con l'obiettivo di cambiare spesso look.

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