MAC Cosmetics contro l’AIDS, un impegno ventennale

Oltre all’AIDS, anche l’Epatite C può essere considerata come una grande piaga del XX secolo. Per combattere queste pestilenze sono state rilevanti diverse iniziative, tra cui l’indagine medico-scientifica condotta da Villa Mariani, storico centro antidroghe della Capitale, e MAC Cosmetics, marchio leader nel settore del make-up, che sin dal 1994 ha destinato centinaia di milioni di dollari alla lotta contro l’AIDS. Rispetto alla lotta contro l’HIV, quella contro l’Epatite C (una malattia di cui soffrono circa 150 milioni di persone nel mondo secondo la stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) sembra perseguire risultati positivi in tempi più brevi, infatti, le terapie risultano efficaci nella maggior parte dei casi e si pensa che a breve verrà prodotto anche un vaccino. Sono molto importanti, però, i riscontri a livello diagnostico, ed è per questo che è stato rilevante l'intervento di Villa Mariani con lo screening anti-epatite C e anti-AIDS all’interno della popolazione tossicodipendente (tra le più esposte al contagio), e quello di MAC Cosmetics, che ha finanziato la ricerca con varie donazioni. MAC Cosmetics, oltre a “Viva Glam”, programma di raccolta fondi grazie alla collaborazione di personaggi celebri, come Miley Cyrus e Lady Gaga, ha promosso un progetto denominato “Kids helping kids greeting cards”, che consiste nella vendita di cartoline realizzate da bambini affetti da AIDS, il cui ricavato sarà interamente devoluto alla lotta contro l’HIV.

Certo, guardare solo una parte della medaglia può far comodo ma, a mio parere, le "buone azioni" di Mac non neutralizzano le "cattive". Anzi, secondo me una grande impresa come Mac Cosmetics, prima di impegnarsi in attività del genere (non mi fraintendete: sono totalmente favorevole all'iniziativa contro l'HIV e l'AIDS, sia chiaro) dovrebbe guardare a se stessa e curare i danni che essa stessa crea. L'HIV è un virus che ha ucciso una grande quantità di uomini, donne e addirittura bambini ed è importante prevenire e informare le persone attraverso questo genere di iniziative ma testare i prodotti cosmetici su animali è qualcosa di abominevole. Ogni anno migliaia di animali, in particolare conigli, muoiono a causa di queste procedure funzionali al soddisfacimento della vanità umana! Tra i più comuni test effettuati sugli animali: test di tossicità acuta e cronica, irritazione della pelle ed inalazione, avvelenamento, induzione di cancro in varie parti del corpo. Gli animali sono obbligati ad ingerire sostanze di ogni genere dalle creme ai pesticidi; vengono privati dei genitori per esperimenti psicologici; vengono irradiati con raggi di ogni tipo; vengono torturati con elettrodi nel cervello; vengono modificati geneticamente nel tentativo di renderli più simili all'uomo, ma non basta cambiare 1, 2, e nemmeno 1000 geni per ottenere un uomo in miniatura. Io credo che nel 2016 queste pratiche barbare non dovrebbero più esistere. Mi sembra che siano abbastanza le aziende cosmetiche cruelty-free al giorno d'oggi quindi ne deduco che si possa benissimo far a meno di questi test per creare dei cosmetici che non diano problemi alla pelle. Voi cosa ne pensate?

"Mi sembra che siano abbastanza le aziende cosmetiche cruelty-free al giorno d'oggi quindi ne deduco che si possa benissimo far a meno di questi test per creare dei cosmetici che non diano problemi alla pelle. Voi cosa ne pensate?"

Sicuramente le aziende cosmetiche che si sono mosse in tal senso sono numerose, ma sembrerebbe che i colossi dell'industria cosmetica non vogliano seguire totalmente questo esempio. Certamente mostrano l'intenzione di voler impegnare socialmente la propria attività, con ricerche e promesse per il futuro, ma senza fornire oggi soluzioni concrete a problemi come quello di cui si è appena parlato: cioè i test svolti su animali.
L'Oréal ha infatti numerosi progetti, per esempio:
- entro il 2020 si promette innovazione, in modo che il 100% dei prodotti presentino vantaggi ambientali o sociali;
- entro il 2020 si assicura la riduzione del 60% dell'impatto ambientale rispetto al 2005;
- entro il 2020 si consentirà a tutti i nostri consumatori di compiere scelte di consumo sostenibili;
- inoltre società ha dichiarato di abbracciare l'approccio etico sin dagli anni '70 con la convinzione che i continui investimenti nella ricerca di metodi alternativi porteranno a zéro animal.
Questi sono gli obiettivi sulla carta, che sembrano voler però compensare la vera e propria situazione concreta.
Infatti, se sicuramente dal 1989, L'Oréal ha deciso di non testare più il prodotto finito su animali, anticipando così il divieto posto nel 2004 dall'Unione europea; per quanto riguarda i singoli ingredienti, la società dichiara che la situazione è più complicata poiché per registrare e mettere in commercio un nuovo ingrediente, deve fornire alle autorità un dossier che attesti la sua sicurezza, dovendo così sottoporre sempre la sostanza ad una serie di test su animali obbligatori per legge.
Dopo aver rilasciato questa dichiarazione, il team afferma che la società ha però fortemente contribuito a sviluppare metodi alternativi per ridurre la sperimentazione su animali, inaugurando nel mese di aprile del 2011 a Gerland, il primo centro mondiale per la valutazione predittiva della sicurezza e dell'efficacia dei prodotti cosmetici.
Sebbene gli 'sforzi' siano apprezzabili, probabilmente se il fattore sociale (l'etica e il benessere animale) fosse davvero, per L'Oréal, più importante di quello economico, l'impresa avrebbe evitato di mettere in commercio prodotti con ingredienti nuovi che richiedono per legge nuovi test su animali, incrementando così la sperimentazione su di essi. O almeno questa è la critica che è stata spesso avanzata contro L'Oréal.
Nonostante questa note dolente e l'assenza di cruelty free nella politica di L'Oréal, la società si è messa in mostra, su altri campi, per il proprio impegno e per i propri meriti. Dunque, come accade spesso, se l'impegno sociale non è totale, le note di demerito sono, in qualche modo, "compensate" dai fattori positivi.
Infatti, in Italia, L'Oréal è impegnata da anni in iniziative di responsabilità sociale a sostegno delle donne e della scienza. Nel 2015 è giunta alla sua tredicesima edizione, il premio L'Oréal per le Donne e la Scienza, promosso in Italia in collaborazione con la Commissione Nazionale italiana per l'Unesco. Ogni anno si sostiene così la carriera scientifica di 5 meritevoli ricercatrici italiane under 35, selezionate da una giuria presieduta dal prof. Umberto Veronesi, cui L'Oréal mette a disposizione una borsa di studio del valore di 15.000 Euro.
Infine, per portare la bellezza anche a coloro che ne sono temporaneamente privati, L'Oréal è partner e collabora da anni con La Forza e il Sorriso che organizza laboratori di make-up per donne in cura per malattie oncologiche.

Mi trovo assolutamente d'accordo con il collega che ha affermato che le buone azioni intraprese da Mac Cosmetics in ambito sociale purtroppo non neutralizzano quelle cattive.
A partire dall’11 marzo 2013 la lunga battaglia tenutasi in Europa per ottenere l’abolizione dei test sugli animali in campo cosmetico si è conclusa con una legge che ne vieta la pratica all’interno della Comunità Europea sia per quanto riguarda il prodotto finito che per i singoli ingredienti in esso contenuti. Molte aziende internazionali, in particolare le grandi multinazionali americane, recentemente hanno rivisitato le proprie politiche aziendali contro l’animal testing per poter accaparrarsi una fetta di mercato molto ambita, cioè la Cina.
Secondo la legge cinese infatti qualsiasi cosmetico venga commercializzato in Cina deve prima essere obbligatoriamente testato sugli animali: se i prodotti non vengono testati non possono quindi essere messi sul mercato.
Questo accadeva ed è accaduto fino a giugno 2014, quando finalmente in Cina è caduto l'obbligo di sperimentazione per i prodotti immessi in commercio.
Mac Cosmetics, che è una delle aziende di cosmesi più note in tutto il mondo, è stata recentemente cancellata dalla lista PETA di aziende che non testano ed è stata invece inserita in quella delle azienda che testano e questo anche perchè ha deciso di intraprendere trattative con la Cina.

KIKO non effettua né commissiona test sugli animali, una garanzia che riguarda non solo i prodotti finiti, ma anche le materie prime di ultima generazione testate dal 2004 in poi. La normativa europea sui prodotti cosmetici vieta infatti dal 2004 i test su animali dei prodotti finiti, una pratica dismessa dall'industria cosmetica oltre 15 anni prima dell'entrata in vigore della legge. L'11 marzo 2009 è inoltre entrato in vigore il divieto di commercializzare, sul territorio dell'UE, non solo i cosmetici la cui formulazione finale è stata oggetto di sperimentazione animale, ma anche prodotti che contengono ingredienti testati su animali al di fuori dell'Europa comunitaria. Nel marzo 2013 è subentrato il divieto di commercializzazione di prodotti cosmetici contenenti ingredienti testati per particolari studi di tossicità. KIKO si impegna a seguire i progressi dell'industria cosmetica italiana ed europea nella ricerca di sperimentazioni sostitutive ai test tossicologici sugli animali che tutelino la sicurezza dei consumatori.

Questo è un altro di quei casi in qui l'RSI diventa una piaga del sistema economico, uno strumento di distorsione della realtà e di marketing spietato.
Sostengo che se si vogliono affrontare battaglie socialmente responsabili è necessario soprattutto mantenere un certo profilo di coerenza e dopo di che dare vita a nuove iniziative di RSI.
Come si può sostenere di combattere per una certa causa se poi l'impresa deve il suo successo allo sfruttamento dei lavoratori, alla sperimentazione dei propri cosmetici sugli animali, all'utilizzo tra gli ingredienti di sostanze nocive per la nostra pelle?
E' come cercare d'impedire una battaglia scatenando una guerra (mi scuso per il modo di dire poco convenzionale, ma non sapevo come metaforizzare altrimenti la cosa).
Per perseguire una politica di RSI non è necessario creare campagne pubblicitarie come quella di VIVA GLAM contro l'AIDS. Sarebbe intanto già sufficiente partire dalla politica interna della propria impresa. Una volta risolte le incoerenze interne (quelle sopracitate), solo allora la campagna contro l'AIDS promossa potrà acquistare un significato sociale reale.

Leggendo l’intervento in merito alla campagna conto l’AIDS fatta ad opera della grande casa cosmetica canadese MAC, sicuramente è giustificato il grande apprezzamento che questa ha riscosso; infatti, vedere una grande azienda come quella sopracitata, e coinvolti inoltre grandi volti noti, come quelli delle grandi celebrità di Hollywood, è sicuramente un gesto che fa parlare in bene della medesima. Tuttavia, come fatto notare, non sono solo belle parole quelle che circolano in favore della MAC, in quanto, come sappiamo, è ormai conosciuto a tutti il suo comportamento definito oltraggioso e crudele nei confronti degli animali, dal momento che questa non desiste ancora dal porre fine ai test che vengono effettuati sugli animali prima di mettere in commercio i suoi cosmetici. Alla luce dei fatti, volendo quindi elogiare da una parte la casa cosmetica in questione, rimane tuttavia l’amaro in bocca nel farlo, poiché, come è grande la lotta contro l’AIDS, si ricorda che è altrettanto grande la lotta per porre fine ai test fatti sugli animali fatti dalle grandi case cosmetiche come quella in questione, la MAC infatti, è solo una delle tante, che essendo un marchio conosciuto è quello che viene citato più spesso, tuttavia, non bisogna farsi ingannare, perché assieme alla MAC ve ne sono molte altre. Quindi, alla fine dei conti, non resta che farsi una sola domanda, si può solo apprezzare il bene fatto, sorvolando sul male?

Per rispondere all'interrogativo posto dal/dalla collega, ritengo che "il bene fatto", in questo caso da parte di Mac Cosmetics, sia sicuramente apprezzabile, ma non credo si possa "sorvolare sul male".
D'altro canto, sono anche convinta del fatto che in questo caso i consumatori possano poco, si tratta di un'azienda particolarmente affermata in ambito cosmetico, rivolgendosi non solo ai "privati", ma anche e forse soprattutto ai "professionisti" della cosmesi, i quali spesso non possono fare a meno di alcuni dei prodotti Mac.
Forse solo un'importante pressione mediatica, con conseguente potenziale danno di immagine, potrebbe rappresentare una forte spinta per un "risveglio di coscienza" da parte di questa e di altre imprese altrettanto note.