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La doppia faccia di Benetton

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La doppia faccia di Benetton  Empty La doppia faccia di Benetton

Messaggio  0000725243 Ven Apr 08, 2016 9:12 pm

Benetton Group è la famosa azienda trevigiana, che ha imposto nel tempo il suo nome nel mondo della moda.
Il marchio italiano è stato accusato il più delle volte di cambiare faccia come un camaleonte cambia colore. Da una parte promuove i “colori uniti” e le nozioni di un mondo multiculturale e di armonia etnica, dall’altra non fa scrupolo nell’eliminare tutto ciò che le si frappone all’obiettivo finale.
Benetton ha sempre adottato una comunicazione attenta al sociale. Le campagne pubblicitarie provocatorie, lanciate negli anni 70-80, hanno fatto sì discutere, ma hanno contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica su argomenti scottanti come le differenze razziali o l’AIDS.
L’impegno che professano è quello di un’azienda globalmente responsabile dal punto di vista sociale, tramite il dialogo e la condivisone con tutti gli stakeholder.
Sotto questa maschera strategicamente indossata, si nascondono in realtà una serie di scandali che hanno visto la società protagonista.
La multinazionale fu, infatti, al centro di uno scandalo già nel 1998, quando bambini di età compresa tra 11 e 13 anni vennero fotografati mentre lavoravano in una fabbrica della società in Turchia.
Nel 2003 in Bangladesh 381 operai morirono nel crollo di un palazzo mentre lavoravano in assenza delle minime condizioni di sicurezza: ancora una volta le immagini raccontano di un’etichetta  verde accesso con l’inconfondibile scritta “United Colors of Benetton”.
Eppure per chi come Benetton ha creato un “marketing umanitario”, ha impressionato il pubblico attraverso le immagini di Oliviero Toscani mostrando  ogni genere di sofferenza in ogni parte del mondo e si è  professata fautore di una politica socialmente responsabile, avere una storia intrisa di scandali e di accuse, lascia aperto un grande interrogativo di fondo: è tutto fumo negli occhi?

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La doppia faccia di Benetton  Empty Corporate Social Irresponsibility?

Messaggio  0000724755 Sab Apr 09, 2016 9:53 am

Sono assolutamente d'accordo con te, quello della Benetton sembra essere uno dei casi che in un'altra discussione definivo come di bad CSR.
Da una parte infatti l'impresa veneta fa campagne pubblicitarie contro discriminazione o altri specifici temi, molto belle e socialmente responsabili, usando le foto di Oliviero Toscani manda messaggi bellissimi; la vocazione socialmente responsabile della Benetton sembrerebbe però apparentemente fermarsi sul piano delle enunciazioni, perché come hai evidenziato tu sono numerosi i casi che poi nei fatti vanno a smentire questo impegno.
Volevo indicare un reportage realizzato da Presadiretta, programma di RaiTre, realizzato a un anno dal crollo del Rana Plaza avvenuto a Dacca, che tu hai citato, avvenuto nel 2013: Rana Plaza, a un anno dal crollo.
Non voglio generalizzare, ci sono sicuramente dei casi in cui l'impegno professato pubblicamente è reale e fattivo, ma in questo caso è pacifico che così non sia (almeno, non in tutte le occasioni nelle quali sarebbe possibile), e ritengo che un comportamento del genere sia gravissimo, più grave che se non ne fosse stato responsabile un'impresa non attiva sul piano della RSI: i consumatori stessi vengono illusi; anch'essi sono portatori di interessi, e ciò non sarebbe forse quindi configurabile come piuttosto un'irresponsabilità sociale d'impresa?

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La doppia faccia di Benetton  Empty Responsabilità sociale di facciata?

Messaggio  724859 Sab Apr 09, 2016 11:18 am

Benetton, noto marchio dell’abbigliamento italiano presente a livello globale, ha dimostrato in più occasioni di saper comunicare le proprie iniziative di responsabilità sociale d’impresa. L’impresa ha una rete commerciale diffusa in tutto il mondo che le permette di avere grande visibilità. Le sue iniziative sono sempre state connotate da una attenzione al sociale come le campagne pubblicitarie provocatorie risalenti agli anni 70-80 finalizzate a sensibilizzare l’opinione pubblica su temi come l’AIDS e la differenziazione razziale, le sponsorizzazioni delle iniziative sportive per avvicinare i giovani al mondo dello sport, il centro di ricerca sulla comunicazione “ Fabrica” con il quale viene offerta ai giovani una borsa di studio. Inoltre Benetton si è fornita di un codice etico con il quale ha dichiarato di assumere la responsabilità nei confronti dei vari stakeholders. Ma non finisce qui: l’impresa ha anche deciso di promuovere il progetto “Microcredit Africa Works” per supportare le iniziative di lavoro degli africani in Africa, che è divenuto poi anche uno strumento di campagna pubblicitaria della stessa. Tuttavia a seguito di alcuni scandali di cui fu oggetto, come quello giustamente ricordato dai miei colleghi del 1998 in cui bambini di età compresa tra gli 11 e 13 anni vennero fotografati mentre lavoravano in Turchia in fabbrica o il crollo del palazzo lavorativo nel 2003 che non rispettava le prescrizioni minime di sicurezza,si intravede come dietro una grande comunicazione di facciata in tema di responsabilità sociale d’impresa si celi un comportamento profondamente irresponsabile dell’azienda. Dobbiamo dunque essere portati a pensare che sia solo una questione di marketing per migliorare l’immagine dell’impresa e avere uno slancio nel mercato concorrenziale mondiale?

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Messaggio  0000689773 Lun Apr 11, 2016 2:57 pm

Credo sia assurdo impegnarsi così tanto per creare e sostenere delle campagne pubblicitarie come quelle del “unhate” per poi non crederci minimamente. Il fatto più allarmante è il titolo sui giornali il giorno dopo l’accaduto in Bangladesh, che recita “stragi in Bangladesh, Benetton e Piazza Italia ignorano richiesta di risarcimento”. Ignorare la morte di 380 operai mi sembra alquanto disumano, non rispondere addirittura all’invito delle organizzazioni per parlare dei risarcimenti alle famiglie delle vittime, giustificandosi con “la persona che si occupa della questione è in viaggio ed è difficile contattarla” (fonte: il fatto quotidiano) indica proprio un’assenza totale di responsabilità sia sociale che morale. Tutto ciò mi fa pensare che le campagne LGBT (per fare un esempio, ma anche le tante altre campagne pubblicitarie firmate Benetton) siano solo una efficacissima strategia di marketing.

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Messaggio  0000723020 Lun Apr 11, 2016 4:00 pm

Ci terrei a soffermarmi di più sulla campagna di comunicazione“Microcredit Africa Works” , di cui faceva cenno il collega nell'intervento precedente. Si tratta di un progetto con cui Benetton ha promosso e supportato il lavoro in Africa, utilizzandolo anche come campagna pubblicitaria. Tale progetto è stato presentato a livello mondiale nel 2008, con lo scopo di promuovere, in Senegal, l’attività di microcredito di Birima, una società di credito cooperativo fondata dal cantante senegalese Youssou N’Dour, il quale ha collaborato per la presentazione. La nuova società Birima nasce con lo scopo di offrire credito anche ai poveri, a condizione che si presentino con un’idea di attività economica e si impegnino a restituire il denaro ricevuto in prestito. Questa iniziativa di comunicazione permette di far conoscere al mondo il microcredito africano; contemporaneamente con questa campagna pubblicitaria Benetton riassume alcuni concetti fondamentali della sua comunicazione: finanziando il lavoro in Senegal sottolinea l’importanza della collaborazione con gli enti impegnati nella solidarietà e valorizza l’impegno del singolo per il cambiamento della società. La Benetton non ha solamente agito con una mera azione di advocacy, ma ha donato una consistente cifra per finanziare le start-up africane. Sorge però il dubbio che tutta questa sia stata una trovata per mettere in mostra il marchio commerciale, più che il progetto sociale. Questo perchè, a parte la stesura del codice Etico, e le svariate campagne di comunicazione, l'azienda non risulta essere coinvolta in nessuna iniziativa concreta di CSR, anzi addirittura l'azienda, nel 2004, è stata esclusa dagli indici per l'investimento sociale responsabile FTSE4Good, che misurano le performance finanziarie delle società che hanno dimostrato una particolare attenzione alla responsabilità sociale. Infatti, l'esclusione fu motivata dal fatto che l'azienda non rispondeva più ai criteri riguardanti le politiche ambientali, sociali, di rapporto con gli stakeholder e di rispetto dei diritti umani.
La Benetton, in tutto il mondo, appare come simbolo del "Made in Italy" esportato con successo e "democraticamente". Riconosciuta come un'azienda che utilizza i "giochi di colore" per unire, e non per porre l'accento sulle diversità. Dunque mi verrebbe quasi da penso che, in questa circostanza, sia proprio il caso di dire che la Benetton sia una di quelle aziende che "predicano bene e razzolano male".

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Messaggio  0000727479 Lun Apr 11, 2016 4:19 pm

Concordo pienamente con i miei colleghi nel rilevare come sia altamente contraddittorio e moralmente dissacrante il fatto che una grande attività d'impresa dichiari pubblicamente di dotarsi di un codice etico di comportamento e, per di più, di applicarlo pedissequamente nel lodevole obiettivo di realizzare efficienti politiche di RSI per poi disattendere completamente questi propositi socialmente impegnati.
Dietro una facciata altamente "politically correct" che, offrendo ai propri stakeholder umane iniziative di sensibilizzazione alle più disparate problematiche, si fa portavoce a livello internazionale di uno dei più elevati attivismi etico-comportamentali in tema di RSI, si cela una strategia che esula completamente, nei casi sopra riportati, da tali pubblicizzate intenzioni. Implicitamente si desume come la Benetton cristallizzi la propria impeccabile immagine dietro un efficientissimo apparato di marketing, prediligendo la lucratività dei propri affari ai veri capisaldi caratterizzanti la RSI che, come da definizione, confluiscono nell'insieme de "i comportamenti e le azioni che non sono svolti nell’ottica del solo profitto, ma con l’attenzione all’etica, all’ecologia, alle differenze culturali e religiose e altro." Dove risiedono queste dovute ed imprescindibili accortezze all'interno di una Impresa che, pur propinando l’assunzione di responsabilità riguardo alle proprie attività nei confronti dei diversi stakeholder, si macchia di efferatezze quali quelle sopra riportate, totalmente incurante delle ripercussioni fisico-morali subite da detti soggetti e del possibile profilarsi di un azione risarcitoria nei confronti dei familiari di questi ultimi? Tutto ciò premesso, sarebbe logico pervenire alla conclusione, proposta da uno dei miei colleghi nel terzo commento di questo Topic, che sostiene l'adozione di tali strumenti socialmente ed umanamente orientati al precipuo fine di adornare l'immagine dell'azienda per favorirne uno slancio di mercato, sempre più concorrenzialmente competitivo.

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