Re: Apple, RSI e tutela della privacy

Prendo spunto da post di un collega per sollevare delle questioni riguardanti la responsabilità sociale d' impresa del gigante dell' informatica Apple. Considerato l' impegno sociale del CEO di Apple Tim Cook, consolidato dalla sua partecipazione alla Robert F. Kennedy Human Rights mi sono posto delle domande:

1) L' operato di Tim Cook può essere associato a quello della Apple? L' azienda ai tempi di Jobs era stata accusata di far utilizzo di lavoro minorile sottopagato nel terzo mondo per avere costi di produzione più bassi, questo può bastare a rivalutare gli abusi in passato commessi dalla mela? Volendo inoltre essere dei critici cinici, quanto possiamo essere sicuri che la tutela dei diritti umani non sia invece una grande operazione di marketing per riavvicinare una parte dei consumatori all' azienda e ristabilirne l' immagine pubblica?

2) secondo alcune ricerche, rilanciare da più di una testata, il ricarico che Apple pratica sui suoi prodotti è altissimo, se tali studi si rivelassero veritiere (Apple ha prontamente smentito), questo tipo di politiche potrebbero essere conciliabili con la RSI?

3) la polemica sulla tutela della privacy, in merito alla quale lo stesso Cook ho pubblicato una lettera che si può rintracciare sul corriere, scaturita dallo scontro tra FBI e Apple, è una vera e propria lotta per il diritto alla privacy, in che posizione dovrebbero collocarsi i grandi colossi come la Apple e Facebook (vedi la recente aggiunta della funzione crittografia si Whatapp)? La tutela dei dati personali è assoluta o può venire meno quando la sicurezza della collettivà è messa a rischio? E a quale prezzo?

P.s. Non posso allegare le mie fonti perché il sistema mi impedisce di inserire link, qualora le vogliate consultare cercherò il modo di fornirvele.

Trovo il tuo intervento molto interessante.
In merito al primo punto, credo che, pur sforzandoci di essere fiduciosi nei confronti della nuova politica Apple, è inevitabile esser anche tentati dall’idea che parte dei motivi che hanno spinto Cook a prendere parte al Consiglio di Amministrazione della Robert F. Kennedy Foundation siano dettati da ragioni di marketing.
Spero di sbagliarmi, ma è difficile essere ottimisti nei confronti di un'azienda che, da sempre, è stata oggetto di scandali globali relativi agli abusi commessi in tema di diritti umani. Ma per dare un giudizio concreto è necessario aspettare e vedere le prossime mosse di Cook. Per il momento possiamo solo confidare nelle parole del CEO di Apple, che si dichiara grande sostenitore di responsabilità sociale delle imprese e di azioni volte alla promozione e alla diffusione dell'idea di giustizia sociale.
Mi ha molto colpita poi il problema “privacy” che hai sollevato. Di fronte ai recenti accadimenti mi sono anche io interrogata su quale fosse la strada da seguire: viene prima la tutela dei dati personali del singolo o la sicurezza della collettività? E' difficile dare una risposta.
Certo è che Apple prenderà dei provvedimenti decisivi a seguito di quanto è accaduto. L’azienda di Cupertino ha già dichiarato di essere alla ricerca di soluzioni hardware proprie, per garantire agli utenti un grado di sicurezza sempre più elevato.
Ci riuscirà? Anche in questo caso, non ci resta che aspettare.

L’interrogativo che più spesso emerge, quando si dibatte di RSI, è se l’iniziativa socialmente responsabile, sia da lodare o tacciare come mera campagna di marketing.
Bollare la CSR come semplice pubblicità, però sta diventando una risposta semplice, comoda, un modo di commentare senza esporsi troppo, per criticare senza fare troppo “male”.
Il vedere sempre e comunque l’inganno, il complotto, ci sta allontanando da una visione lucida e critica della realtà.
Marchiare le azioni socialmente responsabili poste in essere da Apple come modo per recuperare l’immagine e la reputazione, mi sembra riduttivo e fin troppo vago.
La multinazionale è impegnata nel rispetto di standard ambientali e sociali ad ogni livello della filiera, il suo codice di condotta è uno dei più rigidi del settore, ed effettua audit periodici per controllare le condizioni lavorative.
I fornitori sono tenuti a conformarsi a standard fissati in materia di lavoro, diritti umani, sicurezza, ambiente, management ed etica.

Per quanto riguarda il secondo interrogativo sollevato, non ritengo ci sia da stupirsi se un’azienda, conscia della posizione dominante sul mercato e dell’alto premium price che il cliente è disposto a concedere, non sfrutti al massimo tali elementi.
L’obiettivo ultimo dell’azienda è comunque il profitto, e la risposta positiva del mercato, è una conferma che il prezzo stabilito, seppur palesemente elevato, non è un deterrente delle vendite.
Non ritengo quindi che un prezzo alto coincida con una politica poco attenta alla responsabilità sociale, soprattutto perché non si parla di beni di prima necessità, ed è dunque il consumatore a stabilire se il rincaro sia accettabile o meno.

In relazione all’ultimo interrogativo, si tratta di un classico caso di bilanciamento tra due diritti: da un lato la privacy del singolo che sarebbe potenzialmente violata, dall’altro un’esigenza superiore di tutela della sicurezza.
Potrebbe apparire paradossale il fatto che la Apple si erga a paladino della privacy quando è essa stessa ad utilizzare una serie infinita di dati sensibili, ma bisogna tener presente che la multinazionale non ha quel potere coercitivo che avrebbe un governo in possesso delle stesse informazioni.
Il caso Apple sarà dunque utile per capire quali sono, oggi, i nuovi confini tra privacy e sicurezza.

Trovo questi spunti di riflessione particolarmente interessanti, soprattutto alla luce dei recenti avvenimenti che hanno coinvolto l’azienda Apple.
Sicuramente l’operato di Cook a livello umanitario e la sua visibilità in quanto CEO della Apple hanno contribuito a incrementare la notorietà della già famosa azienda. L’opinione pubblica al giorno d’oggi è fondamentale ed è senza dubbio che l’azienda abbia (volendo essere ottimisti) anche solo minimamente sfruttato la notorietà del suo amministratore per strategie di Marketing. A mio parere sicuramente l’operato di Cook può essere ritenuto lodevole sotto certi punti di vista, ma purtroppo un singolo soggetto non può affossare una serie di scandali e documentazioni sulla sicurezza lavorativa di un’azienda di tale impatto mondiale come la Apple. Sicuramente si può provare ammirazione per la sua persona considerando anche il clamore che si è creato anche in relazione alle sue umili origini accuratamente sottolineate dai mass media. Bisogna, comunque, essere fiduciosi nei progressi di Apple e i recenti sviluppi di politica aziendale fanno prospettare per il meglio.
Riguardo il caso Apple contro FBI, il dibattito è ancora in corso anche se ho notato la maggioranza si schiera dalla parte di Cook ( e quindi in favore del rispetto della tutela della privacy). Personalmente ritengo che i mezzi con cui il terrorismo può operare siano imprevedibili e violare la tutela della privacy non ci assicurerà in ogni caso nulla di definitivo e permanente pertanto non ritengo che sia affatto una discussione fine a se stessa: può aprire infiniti spunti di riflessione sul conflitto tra diritto alla sicurezza della collettività e alla privacy del singolo, nel quale è difficile districarsi. Tuttavia ritengo che violare le condizioni relative alla privacy rappresenterebbe un attacco all’intero sistema dell’azienda, ormai consolidata a livello globale.