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Messaggio  0000725597 Dom Mag 15, 2016 3:28 pm

Nell'attuale scenario globale del mercato avanzato, dove la qualità totale rappresenta l'elemento vincente sul quale si gioca la concorrenza mondiale, si sente sempre più parlare di "Responsabilità Sociale d'Impresa". In Italia l'accezione al concetto di RSI proviene dalla definizione contenuta nella Comunicazione della Commissione Europea del 25 ottobre 2011, n. 681: "La responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società".

Lo standard maggiormente riconosciuto concernente la RSI è definito dalla norma SA 8000 emanata dalla Social Accountability International (SAI), organizzazione internazionale nata nel 1997, che prevede otto requisiti specifici collegati ai principali diritti umani ed un requisito relativo al sistema di gestione della responsabilità sociale in azienda:

• escludere il lavoro minorile ed il lavoro forzato;
• riconoscere di orari di lavoro non contrari alla legge;
• corrispondere una retribuzione dignitosa per il lavoratore;
• garantire la libertà di associazionismo sindacale;
• garantire il diritto dei lavoratori di essere tutelati dalla contrattazione collettiva;
• garantire la sicurezza sul luogo di lavoro;
• garantire la salubrità del luogo di lavoro;
• impedire qualsiasi discriminazione basata su sesso, razza, orientamento politico, sessuale, religioso.

Affinché il perseguimento dei requisiti produca un valore aggiunto per l'impresa è essenziale che vi sia una costante relazione esterna con gli stakeholders.
Fermo restando che la certificazione relativa alla RSI è del tutto volontaria da parte dell'azienda, si noti come nella loro sostanza i requisiti della norma SA 8000, mostrano una corrispondenza di contenuti con il dettato della Costituzione Italiana che all'art. 41 recita: "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.".

A seguito della riforma costituzionale (l. Cost. 3/2001 in modifica dell'art. 117 Cost., 3° comma) la "tutela e sicurezza del lavoro" è materia di legislazione concorrente di Stato e Regioni. Sulla base di tale presupposto sono state emanate in merito diversificate norme regionali. Con riferimento alla RSI, la regione Marche ha emanato la l.r. 2/2005 (Norme regionali per l'occupazione, la tutela e la qualità del lavoro) e successive modifiche ed integrazioni (l.r. 11/2005) che, in particolare, con l'art. 32 intende sostenere iniziative imprenditoriali concordate con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative che siano finalizzate al miglioramento dei livelli di salute, di sicurezza, di qualità del lavoro ed all'ampliamento delle forme di partecipazione dei lavoratori all'impresa, così come le attività volte a tutelare le condizioni ambientali e le comunità di persone che potrebbero risentire degli effetti dell'attività produttiva; inoltre promuove programmi formativi volti alla conoscenza dei principi della RSI.
Nel contempo l'obiettivo di garantire la sicurezza e la salubrità sul luogo di lavoro viene perseguito dai programmi di controllo implementati dai competenti Servizi della ASUR Marche (Azienda Sanitaria Unica Regionale) in attuazione del triennale Piano Nazionale di Prevenzione e dei protocolli d'intesa tra regione Marche e INAIL, ultimo dei quali il quinto (d.g.r. Marche 1220/2014).
Un aspetto a mio avviso di prioritaria importanza, che si rintraccia nei cennati riferimenti normativi e programmatori, è quello della azione di informazione-formazione, non intesa semplicemente alla pur necessaria conoscenza dei requisiti e della corretta conduzione delle attività lavorative (es. comunicazione del rischio), ma anche alla diffusione dei concetti di responsabilità sociale dell'impresa. Si tratta di una rivoluzione culturale dove fare impresa non è in antitesi con il perseguimento degli obiettivi di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori unitamente alla sostenibilità ambientale, giacché tali elementi determinano sempre più il grado di interesse dei consumatori e degli stakeholders verso un'azienda.

Pertanto, al contrario di quanto comunemente si immagini, la promozione e la implementazione delle best practices di sostenibilità ambientale e di sicurezza complessiva, nel connotare l'immagine esterna dell'impegno verso la responsabilità sociale dell'impresa e la conseguente valorizzazione dei propri prodotti e servizi, conferiscono maggiore valore strategico all'investimento economico.
L'impresa trova la sua motivazione all'interno di un contesto socio-economico che in Italia risulta attualmente depresso, con rischio di un arretramento della cultura imprenditoriale rispetto alle sfide che anche le nostre numerose PMI devono affrontare a livello globale. Molti sono i protagonisti che potrebbero affiancare gli imprenditori nella loro mission. Lo Stato e le Regioni già ora hanno a disposizione le risorse finanziarie (POR-FSE) che l'UE dedica alla crescita della RSI, con reale possibilità di una prioritaria azione di recupero alla legalità di quei settori produttivi, quali ad esempio l'agricoltura, dove impera il lavoro nero.
Un altro aspetto da considerare è l'attività di controllo pubblico sulla igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro basato sull'applicazione del d. lgs. 81/2008 s.m.i., che potrebbe rimodulare la propria azione assumendo la funzione di sorveglianza e monitoraggio tesa a imporre alle aziende una gestione improntata al miglioramento continuo delle condizioni di salubrità e sicurezza dei lavoratori, riservando in estrema ratio le misure sanzionatorie di cui al d. lgs. 758/1994, che spesso si rivelano vessatoria e deleterie per i datori di lavoro.

In conclusione, i criteri della responsabilità sociale d'impresa possono costituire una grande opportunità di crescita complessiva che però ritengo non debba essere relegata esclusivamente alle migliori intenzioni dell'imprenditore. A tal proposito sarebbe auspicabile una sorta di "patto sociale per il lavoro" che, in linea con i principi costituzionali (artt. 1 e 4 Cost.), preveda almeno un consistente investimento di risorse statali per una politica di sviluppo sostenibile, un ruolo delle Regioni capace di coordinare i distretti produttivi con progetti innovativi in collaborazione con gli Istituti di ricerca, una maggiore influenza delle associazioni di categoria e degli stakeholders per stimolare i processi di sviluppo e, non da ultimo, un salto culturale dei cittadini consumatori affinché non siano disposti a cedere alle lusinghe di facili risparmi a scapito soprattutto della sicurezza dei lavoratori e della equità fiscale.

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