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RSI: il nuovo modo di concepire la moda

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty RSI: il nuovo modo di concepire la moda

Messaggio  0000725243 Mar Apr 05, 2016 8:52 pm

Ho trovato interessante l’analisi di come la CSR si sia sviluppata nel settore della moda.
Sinonimo di bello, di attenzione nei confronti dell’estetica, la moda è entrata prepotentemente nel dibattito inerente alla RSI.
Tuttavia negli ultimi anni, sono state numerose le aziende che hanno fatto ricorso ad una delocalizzazione massiccia, tentando così di abbassare i costi di produzione nell’ottica di una politica di dumping sociale.
Il risultato è stato quello di avere marchi sempre più visibili ma di contro un sostanziale depauperamento e banalizzazione del prodotto.
Esempi emblematici in tal senso sono rappresentati dai casi Nike e Reebok, segnati da una perdita di immagine dovuta alle accuse di sfruttamento della manodopera minorile: ciò ha messo in evidenza l’importanza della RSI nella gestione del rapporto con i fornitori, e di come la scarsa considerazione di questi fattori possa influire direttamente sulla percezione negativa della marca da parte dei consumatori.
E’ dunque necessario che l’impresa implementi la protezione dei diritti umani, della democrazia, dello sviluppo sostenibile tramite idonee azioni manageriali, sia perché tale impegno è richiesto crescentemente dai consumatori, ma anche perché ciò permette di raggiungere l’obiettivo di conseguire un vantaggio competitivo, che porti a massimizzare gli utili nel lungo periodo di tempo.
Ricorrere in prospettiva strategica al tema etico all’interno dell’azienda permette di comprendere l’evoluzione di quei fattori di successo nel mondo della moda, anche alla luce della crisi finanziaria del 2007/2008.
Dati statistici hanno rilevato come stia emergendo una nuova figura di consumatore, più attento al rapporto qualità-prezzo, alla ricerca di garanzie sempre maggiori nella qualità del prodotto e nella tracciabilità della filiera.
Al prodotto “bello e ben fatto” si affianca una dimensione sociale rappresentata dalla capacità dello stesso di fare stare bene, generata dalla conoscenza nel consumatore che un certo prodotto è dotato di “un’anima sociale” , è realizzato cioè nel rispetto dell’ambiente e di tutti gli stakeholder.
Lo scenario della crisi del 2008 ha segnato un cambiamento nelle propensioni al consumo dei beni di moda.
Sia nei mercati occidentali che nelle nicchie dei paesi emergenti, sono aumentati i clienti value driven, ovvero coloro che preferiscono spendere meno, ma spendere bene, preferendo la qualità alla quantità.
Il prodotto ha assunto una nuova centralità che ha spinto le aziende a ripensare i rapporti di filiera, muovendo da relazioni opportunistiche a partnership strategiche. Così sempre più marchi hanno costruito la loro value proposition intorno al concetto di sostenibilità ambientale: ne sono un esempio le linee ecofriendly di Stella Mc-Cartney o l’iniziativa di Patagonia. Per tutti l’idea di fondo è quella di una moda che crei senza distruggere, generando e rigenerando i prodotti rispettando il pianeta.
Altre aziende hanno posto al centro della loro CSR l’attenzione alle persone: è questo il principio ispiratore del proselitismo tanto dibattuto di Brunello Cucinelli.
Sicuramente emerge che qualcosa sta cambiando nel mondo della moda e ciò risulta anche dai sistemi di misurazione delle performance dei gruppi di lusso, bastati non più solo sui risultati del business ma anche su quelli ottenuti nelle performance solciale, ambientale e a livello di governance.
Orientando la strategia aziendale alla RSI, le aziende possono trovare nuove reason why per giustificare il differenziale di prezzo e, in ultima analisi, alimentare il successo anche reddituale.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Una moda eco-friendly

Messaggio  0000726426 Mer Apr 06, 2016 7:55 am

Facendo alcune ricerche in rete ho trovato altri brand, oltre a quelli da te citati, che si sono impegnati in tema di responsabilità sociale d'impresa, monitorando l'impatto ambientale: riducendo lo spreco di risorse naturali, di emissioni inquinanti, di rifiuti.
Fra i tanti: El Naturalista, marchio spagnolo, famoso per la produzione di scarpe con materiali biodegradabili e riciclabili e tinte vegetali. Entrando sul sito di questo brand, si può immediatamente notare l'attenzione che esso riserva al tema della ecosostenibilità e la cura che dedica all'informazione sui metodi di produzione ai propri consumatori. Tra le scarpe in vendita compaiono quelle senza cromo ("chrome free"), un metallo pesante utilizzato nei processi di lavorazione delle pelli, responsabile di allergie. La produzione di questo tipo di calzature, come si legge dal sito, consente di ridurre il consumo di energia elettrica, acqua, gas, prodotti chimici, nonchè l'emissione di anidride carbonica. El Naturalista, inoltre, cerca di andare incontro alle esigenze di tutti i suoi consumatori, affiancando alla linea chrome free, quella "vegan", realizzando scarpe in "pelle senza pelle", ovvero prive di alcun prodotto di origine animale, ma realizzate con materiali di alta qualità in grado di imitare al tatto e alla vista i tessuti in similpelle.
Altro marchio, sicuramente noto ai più, è quello tedesco Birkenstock, che utilizza per le proprie calzature materiali rispettosi dell'ambiente, come il feltro di lana, naturale al 100%, composto da lana vergine di pecora o i collanti solubili all'acqua (per il fissaggio delle suole), privi di solventi chimici.
Anche la Timberland rientra tra i marchi "eco-friendly". L'azienda statunitense ha accolto e supportato la battaglia portata avanti da Greenpeace per il boicottaggio dell'acquisto di carni e in particolare pelli per la realizzazione delle scarpe, da allevamenti coinvolti in pratiche di deforestazione e lavoro schiavile in Amazzonia. Successivamente (nel 2009) Geox, ha seguito l'esempio della Timberland e anche Nike, che deve ancora farsi perdonare lo scandalo che la vide responsabile di sfruttamento di manodopera minorile in Cambogia, nel 2000.
Sempre Greenpeace nel 2013 ha lanciato una campagna dal titolo "The Fashion Duel", sfidando le grandi imprese della moda a comportarsi responsabilmente, per proteggere il pianeta dalla deforestazione e dall'emissione di sostanze tossiche nell'atmosfera. L'associazione ambientalista ha lanciato "Il guanto verde" di sfida a numerosi marchi di moda, tra cui alcuni italiani e francesi. A collocarsi in prima posizione per trasparenza della produzione, politiche ambientali e lotta alla riduzione di fenomeni di deforestazione e inquinamento è stato Valentino Fashion Group. Altri celebri marchi italiani, però, non hanno dato la stessa importanza alla sfida lanciata da Greenpeace e si sono esentate dal partecipare, forse per disinteresse per le politiche di responsabilità sociale o forse per glissare sull'effettiva adozione di pratiche irresponsabili. E' il caso di Dolce&Gabbana, Chanel, Hermès, Prada, Alberta Ferretti e Trussardi.
In un'ottica di Responsabilità Sociale d'Impresa, l'obiettivo sociale e quello economico devono riuscire ad andare avanti di pari passo; le imprese devono imparare a riconoscere che tra i due diversi fini esiste un collegamento di tipo causale: più ci si impegna per il rispetto dell'ambiente, dei diritti umani, del benessere sociale, più si avrà un ritorno positivo in termini economici. E' quello che accade di frequente alle imprese che adottano comportamenti socialmente responsabili: i consumatori sono sempre più attenti alla storia dei prodotti che acquistano, ormai non conta più solo il fattore estetico o quello economico, quello che conta davvero per molti è una "spesa responsabile" e le imprese che maggiormente riescono ad ottenere un vantaggio competitivo ed economico sono proprio quelle che offrono prodotti in grado di soddisfare questa esigenza, senza rinunciare all'aspetto estetico e qualitativo e a prezzi accessibili.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Re: RSI: il nuovo modo di concepire la moda

Messaggio  0000691227 Mer Apr 06, 2016 1:05 pm

Qualche tempo fa mi sono imbattuta in una famosa trasmissione di denuncia di Rai3, Report, in cui tra tanti esempi in negativo sul tema della delocalizzazione e dello sfruttamento di persone e animali, è stato intervistato uno degli imprenditori piu ricchi della moda,tutto italiano e soprattutto uno dei pochi che produce in Italia alla ricerca di una moda più responsabile: Brunello Cucinelli. Egli è un esempio di eccellenza nella gestione responsabile dell'impresa, nella valorizzazione del capitale umano, nel rispetto e nell'integrazione con il territorio. La trasmissione è andata quindi a visitare la scuola dei mestieri voluta e fondata da Cucinelli (come il teatro che porta il suo nome) nel borgo di Solomeo da lui in gran parte ristrutturato con un investimento da 50 milioni di euro. L’idea è chiara e non si basa sul mero profitto: “L’impresa – spiega Cucinelli – deve tornare a progettare sì a tre mesi; ma anche a tre anni, a trent’anni, a tre secoli. Questo è quello che dobbiamo tornare a fare”.
Lo scopo è anche quello di ridare dignità ai lavori artigiani ai quali sempre più giovani si stanno avvicinando. Non è quindi un caso il successo della scuola dei mestieri di Brunello Cucinelli che offre borse di studio da 700 euro al mese per nove mesi per quanti ambiscono ad entrare fra i dipendenti interni all’azienda o fra i tremila terzisti, che sono quasi tutti umbri.
“Per i nostri corsi abbiamo avuto richieste anche 50 volte superiori ai posti disponibili” afferma con orgoglio Cucinelli sicuro che è in atto una inversione di tendenza. “Non ci si deve vergognare del lavoro artigiano – spiega ancora l’imprenditore – l’importante è che ci sia dignità morale ed economica. I nostri artigiani (sarte, rammendatrici – ndr.) li paghiamo circa il 15% in più dei nostri dipendenti e operai normali, più degli amministrativi”.
A tutto questo si aggiungono i premi produzione e l’ormai celebre dono da 6.000 euro fatto trovare a tutti i dipendenti sotto l’albero di Natale circa due anni fa.
Così l'attenzione costante rivolta da Brunello Cucinelli al territorio e a tutti gli individui operanti per l’azienda sono alla base dello sviluppo di lungo periodo. Il modello di crescita sostenibile e garbato supporta e sostiene il posizionamento riconosciuto al brand nella fascia altissima del lusso. Cucinelli ha dato vita ad una dimensione imprenditoriale innovativa; una realtà in cui l’uomo è al centro dell’impresa e il lavoro è inteso come espressione del valore umano, dove il profitto diviene un mezzo per conseguire il fine superiore del vero bene e per migliorare la vita di chi lavora.
Accanto ai valori fondamentali e ai principi generali di rispetto delle leggi, di onestà e di trasparenza, correttezza e buona fede, esiste un Codice Etico che pone in primo piano gli obiettivi di sviluppo sostenibile, fra cui il benessere delle persone che lavorano e collaborano con l’azienda e la responsabilità dell’impresa nei confronti dell’umanità.
Tutti questi aspetti rappresentano, con un’importanza crescente e condivisa, un elemento di valore e un esempio tutto italiano di impresa responsabile.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Può essere green anche il mondo della moda?

Messaggio  0000733408 Gio Apr 07, 2016 5:06 pm

Che cos’è il fenomeno del Greenwashing? Il neologismo deriva da una sincrasi tra i termini di origine anglosassone green (verde, il colore dell’ecologia) e washing (lavare), viene utilizzato per descrivere quelle imprese che vogliono dare un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, e non solo, così da distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi che provocano. E’ ormai quotidiana la frequenza con cui sempre un più imprese vengono accusate del fenomeno, imprese del mondo della moda incluse.
Mi trovo in sintonia con quanto è stato detto precedentemente dai miei colleghi nel merito, ma vorrei soffermarmi ancora su questo cambiamento, sempre più green, in atto. Il mondo della moda è conosciuto come un mondo di elité, soprattutto quando si parla di alta moda. Mi sono chiesta allora se può, anche il mondo glamour, tingersi un po’ più di verde. Mentre navigavo in rete, mi sono imbattuta in un’iniziativa sorta nel 2013: “The Fashion Duel” (“Il guanto della sfida”), un progetto promosso da Greenpeace. Si trattava di una vera e propria sfida, che prevedeva la compilazione di un questionario di venticinque domande, lanciata alle grandi case di moda italiane e francesi al fine di scoprire come si adoperava l’alta moda per evitare che i suoi prodotti concorressero alla deforestazione e all’ inquinamento delle risorse idriche mondiali. La grande firma “Valentino” si è piazzata al primo posto in classifica, mentre altre quali "Chanel" o "Dolce e Gabbana" o "Prada" non hanno nemmeno risposto al questionario. Ora sono passati anni dalla nascita del progetto, ma sono ve ne sono molti altri che cercano di conciliare moda e sostenibilità quali ad esempio, “Esthetica” ideata e voluta dal "British Fashion Council".
Il mercato della moda è un mercato da 1,7 trilioni di dollari, con centinaia di migliaia di dipendenti, costituisce una fetta notevole dell’economia globale e pertanto possiede una notevole influenza sulle scelte dei consumatori. Queste iniziative che vedono partecipi firme così importanti creano speranza. La moda da sempre si è caratterizzata per la sua lontananza da tematiche quali l’eco-sostenibilità. Eppure qualcosa sta cambiando ed è proprio grazie ai primi che, coraggiosamente, si sono lanciati nel sostegno del rispetto dell’ambiente, la lotta agli sprechi e alla tutela dei lavoratori, hanno dato vita ad un domino che si spera possa coinvolgere sempre più aziende, dimostrando che anche la sostenibilità può essere glamour.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Re: RSI: il nuovo modo di concepire la moda

Messaggio  0000726549 Ven Apr 08, 2016 4:34 pm

Sono perfettamente d'accordo sull' importanza del "cambiamento di rotta" di molte grandi imprese della moda per l'attuazione di politiche di greenwashing e a tale proposito trovo interessante sottolineare che, a volte, tale cambiamento, non coinvolge solo nomi di celebri aziende, ma anche giovani universitari come noi con idee fresche e originali . Vi segnalo infatti questo articolo che avevo avuto modo di leggere diverso tempo fa sulla Repubblica che parla della novità proposta da due studentesse di moda a Milano : "Adriana Santanocito ha 36 anni. Enrica Arena 28. Entrambe siciliane, sono il volto e l'anima di Orange Fiber, il tessuto ricavato dalle arance grazie alle nanotecnologie con cui realizzare abiti vitaminici, che rilasciano sulla pelle i loro principi attivi. Sono partite da zero, anzi da un'idea nata chiacchierando nella cucina della casa milanese di cui erano coinquiline, come due normali studentesse fuori sede. E sono arrivate a fondare una startup, che è stata di recente accolta nell'incubatore d'impresa di Trentino Sviluppo. Da Catania, la loro città di origine, a Milano e poi a Rovereto, alle porte di Trento. Tre vertici di un triangolo geografico che è la metafora di una storia vincente: quella di due giovani che ce l'hanno fatta "pur" rimanendo in Italia, segno che forse c'è ancora una speranza per le nuove generazioni. Un esempio concreto di come un colpo di genio possa trasformarsi in un'iniziativa imprenditoriale, ossia in una reale opportunità di lavoro."

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Burberry e l'attenzione verso i lavoratori

Messaggio  0000725243 Sab Apr 09, 2016 6:43 pm

Recentemente ho letto un articolo inerente al licenziamento irrogato dalla casa di alta moda inglese Burberry nei confronti di due manager, in seguito alla denuncia dell’Unione sindacale di base sui maltrattamenti dei dipendenti del punto vendita di Via dei Condotti a Roma.
I dipendenti erano stati oggetto di vessazioni e di pratiche di mobbing che le due figure apicali avevano da tempo posto in essere: dal mancato soccorso per un aborto, alla discriminazione razziale, dalle percosse alle foto di dubbio gusto inviate sui cellulari dei dipendenti.
Le accuse sono state messe nero su bianco nel corso degli incontri tra i dirigenti aziendali e i commessi e hanno condotto la casa di moda a procedere al licenziamento del district manager coordinatore degli store del Lazio e il direttore del punto vendita.
L’opportuna sanzione, al di là della sua valenza meramente giuridica, è sintomo di quanto l’azienda consideri seriamente e abbia a cuore le condizioni di lavoro dei propri dipendenti, impegnandosi a rispettare tutti gli standard e i regolamenti, e attuando una politica improntata alla creazione di valore per i lavoratori.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Re: RSI: il nuovo modo di concepire la moda

Messaggio  0000644763 Dom Apr 10, 2016 11:09 am

Nell’ottica della responsabilità sociale d’impresa volevo citare il caso di Gucci, azienda italiana fondata nel 1921 a Firenze, diventato ormai marchio leader mondiale nel settore del lusso. Le politiche di RSI intraprese da Gucci fin dal 2004 si fondano sul “valore sostenibile”: rispetto dei diritti dei lavoratori, promozione delle diversità e capacità professionali, tutela dell’ambiente e della biodiversità, coinvolgimento di fornitori e stakeholders.
Nel 2004 l’azienda ottiene la certificazione in materia di Responsabilità Sociale d’Impresa (SA 8000) che coinvolge la sede centrale, i punti vendita e l’intera filiera produttiva.
Nel 2009 sigla un accordo con Confindustria Firenze, CNA e parti sociali per promuovere la filiera quale patrimonio di conoscenze unico e di valore riconosciuto, in una logica di sostenibilità economica e sociale.
Nel 2010 ottiene la certificazione ambientale ISO 14001, aderisce ad iniziative green in tutto il mondo e avvia un programma di attività eco-friendly per la riduzione dell’impatto ambientale ad opera della propria produzione (packaging riciclabile al 100%, ecc.).
Nel 2011 Gucci firma un accordo con i sindacati per agevolare politiche di Welfare all’interno dell’azienda e favorisce la creazione di una “rete d’impresa” volta a rafforzare la competitività del polo fiorentino della pelletteria.
Gucci ha inoltre, un dipartimento interno (CSR & Sustainability) che si occupa di sviluppare ed implementare la strategia di sostenibilità sociale ed ambientale dell’azienda. L’impegno riguarderebbe la tutela e la valorizzazione delle risorse umane, la combinazione tra obiettivi economici e principi sostenibili, la gestione dell’impatto ambientale, il sostegno alle cause umanitarie, il supporto per lo sviluppo di prodotti sostenibili.
Sempre più spesso le grosse multinazionali del lusso si orientano verso politiche green e di sostenibilità.
L’attenzione alle risorse umane e al rispetto per il pianeta sono diventati per alcune aziende tanto importanti quanto il mantenimento di alti standard qualitativi nella realizzazione dei propri prodotti.
Tuttavia dall’inchiesta riportata nel programma Report dal titolo “Va di lusso” sorgono seri dubbi sulla corretta applicazione della certificazione SA8000 sulla responsabilità sociale di cui si fregia la maison GUCCI, il marchio di punta del gruppo di Pinault integralmente prodotto in Italia. Partendo dall’autodenuncia di un artigiano pellettiere viene documentato un sistema diffuso di illegalità: lavoro a cottimo (pagato a borsa), sfruttamento della manodopera cinese (14 ore al giorno di lavoro), evasione contributiva e previdenziale. Il servizio mostra l’indifferenza degli ispettori Gucci davanti alle denunce dell’artigiano. Dunque l’azienda è a conoscenza di queste politiche e fa finta di niente? Le conseguenze più drammatiche per il settore dell’artigianato pelle è l’abbassamento dei prezzi che non consente loro di pagare tutti i costi della manodopera, che è a loro carico.  
Dunque, si tratta di attenzione superficiale alle tematiche green e al rispetto dei lavoratori? Se così fosse, non è questo il Made in Italy che vogliamo.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Prada: no a Greenpeace, ma si alla CSR

Messaggio  0000723421 Dom Apr 10, 2016 4:52 pm

Con questo intervento vorrei rispondere alle considerazioni in merito alla sfida lanciata da Greenpeace alle aziende dell'alta moda, in particolare al fatto che alcune di esse sono state citate per non avervi aderito. Questo oggettivamente non gli fa onore, ma non implica che esse l'abbiano fatto perché non interessata ai temi della CSR o mosse dal desiderio di coprire pratiche irresponsabili.
Per smentire ciò basti citare come esempio Prada, che inaugura la sezione del sito dedicata alla CSR con una lettera del Presidente del Consiglio di Amministrazione Carlo Mazzi, nella quale vengono affermati come valori portanti della governance societaria quelli propri della responsabilità sociale: il rispetto dell'ambiente e dei principi etici alla base dell'odierna società civile, la valorizzazione delle risorse umane dell'azienda e l'attenzione per le scelte operative sull'ambiente circostante, tanto sociale quanto territoriale. Sul sito sono consultabili anche le relazioni sulla responsabilità sociale degli anni passati e il codice etico applicato all'interno della società, nel cui indice si possono scorgere titoli come “principi etici” e “rapporti con i terzi”.
Queste linee guide trovano poi una concreta applicazione specialmente in tre ambiti: lavoro, territorio e cultura.
Per quanto concerne la prima area è interessante, a mio avviso, consultare i grafici, presenti sempre sul sito web, che illustrano i dati circa le risorse umane del Gruppo: da essi si evince un aumento dei dipendenti e dei posti di lavoro degli ultimi anni (che hanno impiegato soprattutto under 30), un'occupazione prevalentemente femminile e un considerevole numero di lavoratori che hanno partecipato a corsi di formazione.
All'apparenza più attivo nella tutela ambientale, il Gruppo segnala di aver ottenuto risultati nella riduzione delle emissioni di CO2, del consumo di energia elettrica (con luci a LED) e della produzione di rifiuti e nell'utilizzo di packaging ecosostenibile. Questi accorgimenti sono tuttavia adottati in sempre più larga misura da aziende del settore e non.
Forse più peculiari sono le cosiddette "Fabbriche giardino" di Prada a Valvigna (AR), Montegranaro (FM) e Montevarchi (AR): esse sono l'emblematico risultato di un progetto di rinaturalizzazione e riqualificazione di queste aree, in cui il colpo d'occhio a primo impatto è sicuramente green. Infatti lo scopo principale di queste azioni è stato quella di creare una perfetta simbiosi tra l'edificio stesso, recuperato da una precedente struttura e progettato come un incontro tra una serra e un giardino (grandi vetrate per l'accesso della luce naturale, alberi e arbusti sui tetti, sui terrazzi) e il tipico paesaggio circostante, sotto l'occhio vigile di un'architettura ecosostenibile. L'idea alla base di tutto ciò è che un ambiente di lavoro sano e il più possibile naturale possa migliorare le condizioni di lavoro dei dipendenti e il loro benessere personale, con risvolti positivi anche dal lato economico, in termini ovviamente di aumento della produttività.
Dal lato culturale sarebbe banale citare soltanto la rinomata Fondazione Prada, istituzione sede di iniziative di grande portata culturale, soprattutto incentrate sull'arte contemporanea. Quello che probabilmente non è noto ai più è il contributo di Prada nelle opere di restauro del patrimonio artistico italiano e non, a cominciare dalla Galleria Vittoria Emanuele II di Milano in occasione di Expo 2015 (insieme al Comune di Milano, Versace e Feltrinelli), la Fortezza Medicea di Arezzo, della facciata del Palais d'Iéna a Parigi e le collaborazioni con il FAI (Fondo Ambientale Italiano), una delle quali ha avuto luogo proprio a Bologna (restauro di statue dell'Accademia di Belle Arti e archi del Palazzo dell'Archiginnasio).
Prada ha inoltre avviato il progetto "Prada Academy", cioè una scuola di formazione di eccellenza delle arti artigiane, con sede in un ex pastificio che verrà recuperato dalla maison.
Dalle informazioni emerse dalla mia ricerca mi pare abbastanza evidente che le tematiche dello sviluppo sociale, della tutela ambientale e dei lavoratori stiano particolarmente a cuore al Gruppo Prada, che ha cercato di ridurre, in ogni ambito possibile, l'impatto della sua attività industriale, non dimenticandosi di investire anche nelle proprie risorse umane e nella cultura. Quindi sì, è corretto affermare che vi sia un'inversione di tendenza rispetto magari anche a solo un decennio fa, poiché un numero sempre maggiore di aziende del settore si stanno mobilitando affinché la fashion industry diventi green a tutti gli effetti, a partire dai prodotti per arrivare fino ai luoghi della loro produzione.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Prada e altri in Transnistria. Quale RSI?

Messaggio  0000723896 Dom Apr 24, 2016 3:53 pm

Come la collega ha scritto sopra, anche io ricordo perfettamente la puntata di denuncia della trasmissione
Report, in cui venivano portati tanti esempi in negativo sul tema della delocalizzazione e dello sfruttamento di persone e animali da parte di molti dei più importanti marchi della moda.
Senza soffermarmi sulla polemica Moncler e sulle piume d’oca, mi preme porre l’attenzione sul secondo filone, altrettanto importante e forse maggiormente connesso alla tematica della responsabilità sociale dell’impresa, seguito dall’inchiesta condotta da Sabrina Giannini per Report. Mi riferisco alla cosiddetta delocalizzazione tendenza quanto mai «di moda» in Italia, in base alla quale i brand del lusso (e non solo) spostano la produzione dei loro capi all’estero continuando però a giocare sulla fama che il «Made in Italy» ha acquisito nel mondo.
Mi ha molto colpito ritrovare nei commenti precedenti, i nomi di alcuni di questi marchi, presentati come esempio virtuoso di RSI.
Romania, Ungheria, Armenia, Bulgaria sono questi i Paesi che oggi producono i capi che i maggiori brand del lusso rivendono poi su mercati internazionali a prezzi superiori ai mille euro. Parlando di piumini, la scelta di delocalizzare a Est non è stata fatta solo da Moncler, ma anche da marchi di primo piano come Peuterey e Aspesi. Come si sottolinea nel servizio, a loro la produzione costa in media tra i 18 e i 30 euro, mentre noi li ricompriamo a prezzi molto più alti, da un minimo di 500 euro a un massimo di 2.000.
A pagare le conseguenze di queste decisioni sono soprattutto le piccole imprese italiane (in particolare quelle del sud), che in passato «creavano» e assemblavano i prodotti dei brand del lusso e che oggi sono costretti a indebitarsi e a licenziare mano d’opera per sopravvivere.
«Ma quanto costerebbe produrre in Italia?» chiede ad un certo punto del servizio Sabrina Giannini a un imprenditore. Impossibile rimanere indifferenti alla risposta: «30 euro in più a pezzo». A questo punto la considerazione sembra essere una sola: questi marchi preferiscono spendere 30 euro anziché 60, su capi che poi rivendono a più di mille euro, arricchendosi sempre di più a scapito dei lavoratori italiani. Considerazione che viene puntualmente confermata da un solerte imprenditore che dichiara candidamente «io me ne frego degli operai italiani».
Tra questi brand rientra anche Prada. In particolare bisogna porre l’accento sull’amore scoppiato alcuni anni fa tra Prada e la Transinistria,che assurge a simbolo di un trend molto più ampio. Ma prima occorre fare alcune precisazioni.
Come sottolineato dalla conduttrice di Report, fino a domenica scorsa probabilmente il 99,9% degli italiani ignorava l’esistenza di questa «Nazione». Le virgolette sono d’obbligo poiché dal 1990 la Transnistria è uno Stato indipendente de facto non riconosciuto dall’ONU. Viene infatti ancora considerato de iure come appartenente alla Moldavia, anche se oggi è governato da un’amministrazione autonoma (fondata sul Soviet) con sede nella città di Tiraspol.
Una delle aziende che ha deciso di delocalizzare all’estero, e in particolare in Transnistria, è proprio Prada. La celeberrima holding italiana ha scelto di affidare la produzione dei propri capi all’Intercentre Lux di Tiraspol. Il prodotto più costoso costa 33,80 euro (la media si situa però tra i 18 e i 30 euro), anche se l’azienda nostrana preferirebbe pagarne meno (20 euro). I lavoratori della fabbrica guadagnano in media 5 euro l’ora, 1/4 rispetto a quelli italiani. I capi finiscono poi sul mercato internazionale a un prezzo vicino ai 2.000 euro e con l’etichetta «Made in Moldova».
E gli altri? Inutile cercare di trovare un capro espiatorio. Non sono solo Moncler e Prada a produrre all’estero, ma i loro brand sono solo un’esempio di un tendenza che coinvolge praticamente tutti, o quasi.
Come evidenziato da Milena Gabanelli infatti, tra i cinque principali marchi del lusso italiano (Prada, Armani, Tod’s, Dolce&Gabbana e Cucinelli) solo uno continua a produrre in Italia: stiamo parlando, come richiamato sopra, di Brunello Cucinelli.
Cucinelli ha fatto una scelta ben precisa: rimanere in Italia, puntare sulla qualità (e non solo sulla fama) del «Made in Italy» e continuare a produrre nel nostro Paese, più precisamente in Umbria. La decisione non lo ha certo mandato in bancarotta: la Brunello Cucinelli S.p.A., specializzata in abbigliamento pregiato in cashmire, è una società quotata in Borsa, vanta un utile netto del 9% annuo, un fatturato (nel 2013) di 322 milioni di euro con un debito di 80 milioni su cui paga 1,9 milioni di interessi a un tasso del 2,2% (rischio zero insomma).
Numeri alla mano dunque, produrre in Italia si può. Se poi non si vuole, è un altro paio di maniche.

Quello che viene da chiedermi è : si può parlare di responsabilità sociale dell’impresa, per aziende, come Prada, che, come sottolineato dal collega, pongono in essere molti comportamenti virtuosi, ma, allo stesso tempo, macchiano la loro “fama” con altrettanti comportamenti certamente condannabili? Quale è realmente la linea di demarcazione per stabilire se una azienda è eticamente responsabile o no?

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty RSI e moda: conflitto d'interessi?

Messaggio  0000724041 Mar Apr 26, 2016 8:55 am

Ringrazio il/la collega per aver sottolineato quest’ultima, a mio avviso importantissima, problematica riguardante la delocalizzazione a Est delle grandi firme della moda.
Come molti di voi hanno fatto notare, il mondo della moda si sta avvicinando sempre di più alle tematiche “green” e molte delle grandi firme hanno dimostrato una particolare attenzione all’ambiente, sia attraverso la scelta dei materiali che attraverso la scelta delle tecniche di produzione. Questa è indubbiamente una nota positiva, considerando i benefici ambientali ma anche economici di queste politiche, che attirano sempre più l’attenzione dei consumatori. Bisogna infatti notare che i consumatori stessi, ultimamente, sembrano più attenti e interessati alle tematiche della tutela dell’ambiente e dell’eco sostenibilità e ciò non può che essere positivo per le imprese che attuano scelte di questo tipo.
D’altro canto, è necessario guardare anche all’interesse degli operai delle aziende delocalizzate, i quali talvolta si trovano davanti ad un bivio: accettare di trasferirsi all’estero per conservare il posto di lavoro o ritrovarsi, da un giorno all’altro, disoccupati. Non dimentichiamo, inoltre, che suddetti lavoratori sono allo stesso tempo consumatori e che quindi la scelta di delocalizzare le imprese può rappresentare, alla fine dei conti, un’arma a doppio taglio.
Io credo, a questo punto, che non si possa parlare di responsabilità sociale d’impresa nel momento in cui suddetti interessi non vengono presi in considerazione in egual misura. Forse il concetto di RSI è più ampio di quanto si creda e mi rendo conto che per le imprese possa non essere facile trovare un compromesso che soddisfi sia gli interessi dell’ambiente, sia gli interessi dei lavoratori/consumatori e, ovviamente, gli interessi dell’impresa stessa, ma rimango convinta che mettere in secondo piano anche uno solo di questi interessi vada a togliere completezza al significato della RSI.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Re: RSI: il nuovo modo di concepire la moda

Messaggio  724326 Mer Mag 11, 2016 2:25 pm

Prada nella sua "Relazione alla responsabilità sociale" del 2014 scrive : "Crediamo che sia parte della responsabilità sociale d’impresa ampliare gli orizzonti guardando anche alle ricadute della propria attività, affinché esse indirizzino lo sviluppo economico verso equilibri più sostenibili. È un obiettivo ambizioso che vogliamo perseguire, non solo attraverso una costante attenzione nella gestione dell’azienda, ma anche come promotori di cultura nelle sue diverse manifestazioni: cultura come fonte d’ispirazione, come opportunità di espressione e condivisione di interessi tra le persone e i popoli.
Miriamo a una crescita di lungo periodo che può essere raggiunta solo attraverso la salvaguardia delle conoscenze e il continuo miglioramento, rispettando i più severi standard internazionali e rispondendo alle aspettative di tutti gli stakeholder." Non vi sono dubbi che Prada, così come molte altre Maison (Gucci, LV, Miu Miu...) ha ben recepito il concetto di responsabilità d'impresa capendo, quindi, che è fondamentale ridurre i consumi, i rifiuti, tutelare l'ambiente e che i dipendenti (più di 12.000 nel caso di specie), non sono delle "pecore da tosare" ma delle persone da formare e che far sorgere la passione in quello che si fa, avere la competenza artigianale e la curiosità intellettuale è fondamentale in quanto sono questi gli elementi indispensabili su cui si basano l'innovazione e la qualità dei prodotti. Oltretutto favorisce le pari opportunità in quanto vi è una netta prevalenza di presenza femminile in tutte le aree professionali. Nel complesso, il 62% della popolazione aziendale è costituito da donne, con una percentuale persino più alta nel retail (64%). Direi che il mondo della moda grazie alla RSI, si sta evolvendo, si, ma in meglio!

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty La vittoria di Greenpeace per la campagna "Deforestazione zero"

Messaggio  0000734620 Gio Mag 12, 2016 5:38 pm

Greenpeace oltre alla campagna "Fashion Duel" nei confronti delle alte case di moda, ha lanciato un'altra campagna indirizzata principalmente alle aziende di scarpe dal nome "Deforestazione zero" con l'obiettivo di abolire la deforestazione in Amazzonia per la produzione di pelli per scarpe. Questo progetto è nato in seguito ad un'inchiesta "Amazzonia che macello" in cui veniva ricostruita la filiera di prodotti a base di carne e pelle da allevamenti coinvolti nella deforestazione, lavoro schiavile e occupazione di territorio indigeno in Amazzonia. La campagna è stata accolta positivamente da molti marchi noti tra cui Nike, Geox e altri. Nel dettaglio, Nike ha messo a punto una nuova politica di approvigionamento che obbliga i propri fornitori a certificare in maniera formale che la pelle bovina venduta a Nike non provenga dall'Amazzonia. Il marchio Geox, invece, si è impegnato "ad attivare strumenti contrattuali di verifica, volti ad evitare in maniera assoluta di favorire il fenomeno denunciato da Greenpeace". A riguardo Chiara Campione, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia ha affermato: "Siamo molto soddisfatti dell'impegno assunto da Geox e Nike che dimostra come anche le grandi multinazionali che producono e vendono scarpe sportive in tutto il mondo, possono e devono agire immediatamente. Se ora anche Timberland, Rebook o Adidas si assumeranno la responsabilità degli effetti che le proprie politiche di acquisto producono, avremo fatto qualcosa di concreto per combattere la deforestazione e il cambiamento climatico". E proprio in seguito a queste parole anche Timberland, Adidas e Rebook hanno partecipato attivamente a questa campagna; Timberland infatti è e sarà in grado di garantire che la pelle utilizzata per la produzione delle proprie scarpe vendute in tutto il mondo non avrà causato alcun fenomeno di deforestazione recente dell'Amazzonia. Inoltre l'azienda ha stabilito che richiederà a tutti i propri fornitori di pelle di impegnarsi ad una moratoria sui fenomeni di nuova deforestazione in Amazzonia.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Moda, RSI e sviluppo del territorio.

Messaggio  734724 Dom Mag 15, 2016 4:45 pm

Quello della moda costituisce senza ombra di dubbio uno dei settori più importanti per la realtà produttiva e di export italiana, ed è innegabile come le aziende del settore si siano mosse verso politiche di RSI con un impegno straordinario. L' impegno per il greenwashing e la riduzione delle materie prime di origine animale, nonchè per una produzione made in italy che garantisca una provenienza del prodotto certa ed una tutela dei lavoratori alta, a differenza di quanto non avviene in diversi paesi in via di sviluppo, ne sono la prova tangibile.
Tuttavia non rappresentano gli unici ambiti in cui aziende inserite nel settore della moda praticano attività socialmente responsabili. Un esempio è rappresenato da un' azienda di Empoli, Pelle&Moda, nota a livello mondial eper l' altissima qualità dei prodotti, forniti alle più importanti case di moda italiane e straniere. L' azienda, che conta circa 200 dipendenti, si è trovata negli anni passati ad affrontare delle situazioni di carenza di personale qualificato, che l' hanno costretta persino a rifiutare alcune commesse proprio per mancanza di manodopera. I due titolari, Azzurra e Gianpaolo Morelli, hanno allora pensato di avviare un progetto che senza dubbio rientra in una politica di RSI ed in particolare nel rapporto con il territorio in cui l' azienda nasce e vive. Tale progetto ha visto la costruzione di una scuola di alta formazione professionale nel mondo della moda e della pelletteria, che consentisse ai giovani del luogo di ricevere un diploma qualificante a livello internazionale ed acquisire il know-how necessario per entare a far parte del mercato del lavoro e, non di meno, dell' azienda. La scuola attualmente forma circa 50 ragazzi l' anno, ragazzi non solo residenti nel territorio ma provenienti da tutta Italia. L' azienda ha messo a disposizione strutture ed insegnanti per permettere ad un settore, quello manifatturiero, di resistere e crescere in un mercato globale che punta ala ribasso, dando un messaggio forte a chi sceglie di delocalizzare abbattendo i costi e la qualità dei prodotti.
Un' iniziativa che guarda al futuro del paese e del settore, nonchè all' interesse della stessa azienda che si assicura in questo modo personale altamente qualificato che le consente di rimanere leader in un settore che costituiva uno dei fiori all' occhiello della produzione industriale italiana, e che sempre più spesso viene sacrificato a logiche di ribasso che danneggiano non solo l' economia del Bel Paese ma anche la sua immagine a livello globale.

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RSI: il nuovo modo di concepire la moda  Empty Re: RSI: il nuovo modo di concepire la moda

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